Ci sono sviluppi interessanti nel caso del rapper iraniano Toomaj Salehi, di cui vi avevo raccontato poche settimane fa sulle pagine del Fatto, ed ho avuto l’occasione di apprenderli di prima mano incontrando la portavoce per l’Europa della campagna per la sua liberazione, Negin Niknaam, presso la sede di Amnesty International Italia. Se è vero che la Corte Suprema iraniana ha annullato la condanna a morte dell’artista, “colpevole” di “corruzione” per essersi opposto al regime nelle sue canzoni e per aver appoggiato il movimento Donna Vita Libertà, purtroppo il calvario di Toomaj sembra ancora lontano da una conclusione positiva.

Dopo la parziale buona notizia arrivata da Teheran, la palla torna infatti al tribunale ordinario che potrebbe comminare una pena detentiva anche molto lunga o, se le richieste dei legali verranno accolte, concedere la libertà provvisoria su cauzione, oppure addirittura (opzione molto remota…) la liberazione tout court. Al momento, il rapper si trova incarcerato insieme a detenuti comuni, quindi non in un penitenziario destinato esclusivamente agli oppositori politici e, dopo mesi e mesi di isolamento, è stato aggregato agli altri prigionieri. Tutto ciò da un lato potrebbe essere una buona notizia, visto che ovviamente nelle carceri politiche le condizioni sono ancora più dure, ma lo espone ad eventuali vendette e ritorsioni: secondo la portavoce non è infatti da escludere che il regime faccia in modo che gli venga fatto del male. In ogni caso, la maggior parte degli altri prigionieri gli manifesta solidarietà e veglia su di lui.

Tramite gli avvocati, Salehi è venuto a conoscenza della campagna in corso anche nel nostro Paese per la sua liberazione e del relativo appello di Amnesty Italia e ci ha fatto avere i suoi ringraziamenti, sottolineando l’importanza della solidarietà tra artisti. Più importante ancora, la portavoce ha espresso la convinzione che sia stato proprio il movimento di solidarietà internazionale a bloccare l’esecuzione e che, nel silenzio, sarebbe andata a finire in modo ben diverso. Allo stesso tempo, non è questo il momento per allentare l’attenzione e la solidarietà, visto che la questione è tornata di nuovo in mano allo stesso tribunale che ha comminato la pena di morte in primo grado.

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Anche se molti artisti e personaggi del mondo dello spettacolo si sono già esposti su questa vergognosa vicenda, si può e si deve fare ancora di meglio. Allo stesso tempo, la solidarietà non appartiene soltanto alle figure pubbliche e, da parte dei promotori della campagna, arriva forte l’appello a tutti i cittadini a firmare l’appello di Amnesty e condividere sui propri social le informazioni e la consapevolezza.

Prima di salutarci, ho chiesto a Negin Niknaam che cosa fosse per lei la libertà. La giovane attivista, esule in Germania da parecchi anni, mi è sembrata un po’ sorpresa dalla domanda, e poi mi ha risposto con una frase semplice quanto eloquente: “Per me essere libera significherebbe poter tornare a casa mia, a Teheran. Solo questo”.

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