In foto, col pollice sollevato fino agli occhi pece, accenna a un sorriso: ora quel ritratto l’hanno visto tutti nella Federazione. Sembra ancora più giovane dei suoi 15 anni, Arseny Turbin, diventato due giorni fa il più giovane prigioniero politico della Russia di Putin. È stato condannato per terrorismo a 5 anni di carcere per aver infilato nelle cassette postali degli abitanti di Livny volantini anti-Cremlino e per aver contattato via chat la legione “Libertà alla Russia”, truppe di russi che combattano contro Mosca per la vittoria di Kiev. Quando gli 007 dell’Fsb hanno bussato alla porta di casa sua, Arseny è stato interrogato per i suoi post su Vk, il Facebook russo: su internet commentava massacri oltre confine compiuti dai droni. Trubin ha sottratto un record funesto nella lista dei minorenni russi finiti in galera a Lyubov Lizunova, teenager siberiana arrestata per dei murales pacifisti che ha disegnato sui muri della sua città, Chita, e quelli digitali delle sue pagine social. A febbraio 2023 una storia Instagram è costata i domiciliari all’adolescente Olesya Krivtsova: sulla sua caviglia, insieme al tatuaggio di Putin ritratto come un ragno diabolico e velenoso, anche il braccialetto elettronico. Nello stesso anno Kevin Lik è stato processato per spionaggio per aver inviato, via mail, le foto di un sito militare quando era ancora un minorenne. Più giovane di tutti loro era, nel 2022, Masha Moskaleva, 12enne di Yefremov che aveva disegnato una bandiera ucraina mentre era a scuola. Quando la direttrice dell’istituto ha deciso di denunciare l’alunna, sono cominciate le indagini su suo padre Aleksey, poi finito in prigione per “associazione a un’organizzazione terroristica”: aveva scritto pubblicamente su internet il suo “net voine”, no alla guerra.

Censura e controllo dei ragazzini nella rete russa non sono cominciati con la guerra su larga scala: i servizi di sicurezza, i loro segugi digitali, li hanno scatenati da anni contro la generazione che non ricorda un mondo e una Russia senza Putin. Nel 2019 i disegni colorati della giovanissima artista Yulia Tsvetkova hanno cominciato a viaggiare veloce da un account all’altro: ritraevano corpi nudi ed imperfetti, di donne dai volti sempre sorridenti, sempre con braccia al cielo per un’evviva costante. I messaggi, tratteggiati in un cirillico felice e pieno di furore – quello che solo i giovanissimi che rischiano di colpo vita e libertà sanno possedere – dicevano: lottate, non vergognatevi. Accusata di aver violato la legge sulla “distribuzione di pornografia” Yulia è finita in cella quando era però già diventata tante Yulie: con l’hashtag “Svabody Yuliu”, libertà per Yulia, le ragazzine russe protestavano e invadevano la rete con foto dei loro corpi non conformi. Appena oltre la soglia della galera, Yulia è scappata all’estero, proprio come ha fatto nel 2022, dopo essere stata incastrata nel cybergulag, Anya Pavlikova. La 15enne che salvava animali randagi è scivolata nel forum sbagliato, è stata adescata e fomentata contro il governo russo da un adulto che poi l’ha denunciata all’Fsb. Del processo-via crucis per “sovversione governativa” che ha affrontato ne ha fatto un film appena varcato il confine della sua patria, in cui non vuole più tornare.

Assuefatti al led degli smartphone, i ragazzini russi lo sono almeno quanto i coetanei occidentali. “E quando passi la maggior parte della tua vita nello spazio digitale, è anche lì che commetti la maggior parte dei tuoi errori. Tutto quello che fai su internet è registrabile: da questo lato del mondo il dato ha valore commerciale, dall’altro è strumento di controllo politico” racconta Francesco Marino, autore di Scelti per te: come gli algoritmi governano la nostra vita. Nonostante le leggi lo vietino, la metà dei bambini russi ha già un account, ha scoperto il giornale Rbk dopo una lunga inchiesta. “Che internet sia esclusivamente uno strumento di libertà è uno dei fraintendimenti della nostra generazione. Noi ci confrontiamo solo col grande ambiente web che abitiamo, ma non abbiamo esperienza diretta degli ‘altri’ internet” dice Marino. Dopo l’approvazione della cosiddetta legge per “l’internet sovrano” del 2019, il traffico del web parallelo russo è sotto totale controllo delle autorità di Mosca. I nativi digitali russi non hanno memoria di un web globale: l’unico cyberspazio in cui hanno sempre abitato è quello dove infuria una sola versione della storia, un mondo virtuale diviso in blocchi, proprio come quello reale sulle mappe geografiche.

Quella d’Ucraina è stata battezzata la prima “guerra Tik Tok”; esposti passivamente al flusso ininterrotto della propaganda, delle immagini di morte che scorrono senza sosta, sono i giovanissimi russi con cui è entrato in contatto, solo via social, il giornalista Ian Brenner. Nei canali gestiti dai blogger militari Z, nel cuore nero della gioventù russa, ha scoperto moltiplicarsi reclutatori di fedeli alla linea dell’odio, capsule di petri dove si viene imbottiti di narrative distorte dall’elefantiaca macchina dei media statali. E dove oggi gli adolescenti sono pronti a sparare parole come certi loro coetanei al fronte fanno coi kalashnikov. “La manifestazione pubblica di odio guerrafondaio sulla Runet”, internet in lingua russa, è “qualcosa di nuovo nello spazio post-sovietico” ha scritto Brenner. Nel Paese dove un post può condurti dritto dentro alla gabbia di vetro dei tribunali e per un like sbagliato finisci un’indagine di polizia, però grazie a internet altri si sono salvati. È stata proprio un’app russa criptata, ricorda Marino, “a rompere il muro”. L’ha creata, quando era ancora uno studente, Pavel Durov, finito – quando si è rifiutato di cedere i dati personali degli utenti al governo di Mosca – anche lui in esilio. È su Telegram che i giovani di “Idi v les”, letteralmente “vai al bosco”, aiutano altri giovani come loro, appena maggiorenni, a scappare dalla mobilitazione e fuggire oltreconfine, dove non sono bombe e arresti a dettare il ritmo dei respiri e dei giorni.

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