Possiamo iniziare a parlare di fenomeno Inside Out 2 visti i risultati strabilianti del nuovo gioiellino Disney Pixar. Tra i 10 film d’animazione più visti di sempre in Usa e una progressione che gli ha fatto superare agilmente anche Dune 2. In dieci giorni di programmazione italiana comprese le anteprime ha incassato oltre 24,5 milioni di euro, mentre a livello globale supera gli 835 milioni di dollari.

Stavolta il creatore del franchise e 3 volte premio Oscar Pete Docter ha lasciato la direzione a Kelsey Mann, che non tradisce la tradizione. Conosciamo bene questo colorato mondo di emozioni animate e ricordi in biglie da una decina d’anni anche da certi corti aggiuntivi su Disney+, ma la Pixar si è ripetuta regalandoci la preadolescenza di Riley, sopresa a 13 anni dalla nuova squadra di hockey, nuove amiche e nuove emozioni tra le quali spiccano per simpatia Imbarazzo, ragazzone rosa doppiato da Federico Cesari e la scostante Ennui (noia) con l’accento spocchiosamente francese di Deva Cassel. Su tutti l’ipercinetica Ansia doppiata da Pilar Fogliati.

Sul personaggio titolare di uno dei più attuali tabù del nostro presente risulta interessante, nel gioco dell’immersione emotiva, confrontare in sala le giocose risate che accolgono le sue gesta iniziali con i profondi silenzi commossi e turbati che ne seguono l’evolversi catastrofico a fin di bene. Chissà se ci sarà un giorno anche il terzo capitolo.

È ancora in sala anche L’amante dell’astronauta di Marco Berger, piccola storia di una crisalide, due ragazzi che si rincontrano dopo tanto tempo. Confusioni velate tra ossimori e sottili frecciatine per una discreta messa in scena, ma ne esce un verboso confronto a due tra un ragazzo lasciato di fresco dalla fidanzata e un suo amico d’infanzia nel frattempo scopertosi gay. Tutto si gioca su un filo continuo di ambiguità tra i due, dove non si sa se e quando capitolerà l’amicizia per qualcosa di più carnale o sentimentale.

Dallo stile camp, s’incunea con poca ironia su un erotismo verbale più pernicioso che altro, alla ricerca di un verismo schermico che alla lunga stufa con la sua pur sfacciata quotidianità.

Viene direttamente dall’omonima opera letteraria di Laetitia Colombani invece La treccia, diventata opera seconda della stessa autrice. Cosa aspettarsi? Un lavoro patinato nella forma e coinvolgente nei contenuti su un romanzo sano e ottimista. La storia di tre donne che s’incrocia nonostante i continenti di distanza diventa progetto di co-produzione internazionale che abbraccia tre paesi: Italia, dove una giovane prende le redini dell’azienda di famiglia dopo l’incidente del padre; India, dove una madre paria scappa insieme alla figlioletta in cerca di un futuro libero dalle caste; e Canada, dove un’avvocata e madre in carriera dovrà vedersela con un tumore al seno.

Protagonista della storia italiana Fotinì Peluso, Mia Maelzer per l’India e Kim Raver per l’America. Ognuna di loro aggiunge il proprio personalissimo colore a una tavolozza di valori e sentimenti che attraverso 3 declinazioni di forza e dolore punta a restituire fiducia negli esseri umani. Di questi tempi un piccolo toccasana per l’anima.

Venti giorni fa ha esordito invece nelle sale Roma Blues, opera prima giovanilistica dalla regia esuberante di Gianluca Manzetti. Un giovinastro con ambizioni da musicista si ritrova a indagare su uno strano caso insieme a una ragazza conosciuta per le strade capitoline. Il film ricerca con candore il nostro stupore di spettatori ma con una caparbietà quasi adolescenziale. Strappa qualche sorriso, ma sembra voglia portarci su una giostra, e Francesco Gheghi, mai così dinoccolato, sfoggia un borsalino stile Ispettore Gadget ma si muove in un micromondo a metà strada tra quello di Amelie e il quasi sconosciuto Dorme di Eros Puglielli. Non acciuffa saldamente l’attenzione Manzetti, anzi, scivola via attraverso siparietti musical a scimmmiottare La La Land tra porchettari e acquedotti romani, personaggi incontinenti, goffe scene crime e un surrealismo tutto sommato più fine a sé stesso che a punti fermi con i quali inchiodare lo spettatore a qualcosa. Quel “qualcosa da raccontare” di sorrentiniana memoria, ad esempio.

Arriviamo alle anteprime. Esce al cinema il 4 luglio La morte è un problema dei vivi di Teemu Nikki. Si tratta di una commedia nera e surreale a denti più che stretti. Scandinava fino al midollo per il suo humor ricorda il cinema di Kaurismaki (seppur co-prodotta dall’Italia con The Culture Business). Siamo nella Finlandia di oggi, dove s’incontrano un marito gioioso e buono che ha perso tutto dopo aver scoperto di non avere un cervello e un autista di pompe funebri col vizio del gioco e una moglie contro. Tra loro un’organizzazione criminale impegnata, anzi impicciata con tornei di roulette russa e situazioni che faranno emergere amicizie, ripicche, vigliaccherie e nuovo coraggio di cambiare in un cocktail di varie umanità. Niente male per chi davanti al grande schermo è davvero pronto a tutto.

In sala anch’esso il 4 luglio La memoria dell’assassino, di un certo Michael Keaton. Star di fronte alla macchina da presa ma raramente regista, qui dirige un dramma dal meccanismo impeccabile. Un vecchio killer ripudiato dalla sua famiglia dovrà tornare per difenderla nonostante un nuovo terribile nemico: una malattia neurologica degenerativa che lo porterà presto alla perdita di tutta la memoria. Un tessuto narrativo a orologeria arricchito da un gran bel cast, su tutti la guest star Al Pacino, ma Keaton non smette di confermare la sua grandezza attoriale su un personaggio crepuscolare e metodico a metà strada tra un Memento di Nolan e una sintesi sulle lezioni di Agatha Christie e Hitchcock. Uno dei film estivi imperdibili.

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