“Ascoltava molto. Riconosceva tanta sapienza nei contadini, nel potatore, nel pescatore, quando li sentiva parlare per lui quella era già poesia”. Il 28 giugno di 100 anni fa, a Sesana, oggi in Slovenia ma allora in provincia di Trieste, nasceva Danilo Dolci. Poeta, architetto, sociologo, attivista ed educatore, fece della sua vita una lotta per la giustizia sociale e i diritti umani. Conosciuto come il Gandhi di Sicilia, scelse l’Isola per impugnare le battaglie degli ultimi, con il suo approccio di protesta nonviolenta e rivoluzione dal basso. Andò a vivere nei dintori di Trappeto e Partinico, in provincia di Palermo, dove trascorse gran parte della sua vita e fondò il “Borgo di Dio”, una casa-asilo nata per contrastare la povertà più estrema, accogliendo i bambini dalla strada.

Il Gandhi di Sicilia – Con i suoi digiuni collettivi e scioperi alla rovescia (nei quali i disoccupati lavoravano per protesta) Dolci traccerà una delle pagine più limpide e intense della rinascita del Meridione. Fu arrestato e imprigionato, anche a causa delle sue denunce contro la mafia e i suoi rapporti con il potere politico della Democrazia cristiana. Candidato sette volte al Nobel, Dolci nel 1957 vinse il premio Lenin per la pace. Tra i tanti intellettuali di spessore che aderirono alle sue battaglie, difendendolo dai processi e gli arresti, anche Norberto Bobbio, Alberto Moravia, Enzo Sellerio, Erich Fromm, Bertrand Russell, Jean Piaget, Jean-Paul Sartre ed Ernst Bloch. “In tanti però ancora oggi non conoscono la sua storia”, racconta Amico Dolci, uno dei figli di Danilo.

Una famiglia allargata – Nato a Partinico nel 1957, oggi Amico Dolci continua a portare avanti il lavoro del padre con il “Centro Sviluppo Creativo” . “Vengo da una famiglia numerosa, ho undici fratelli”, racconta, e poi fa un elenco di nomi che sembra l’appello di una classe. I primi cinque, tutti maschi e dai nomi biblici, sono i fratellastri: la mamma Vincenzina aveva conosciuto Danilo da vedova con 5 figli già al seguito. I due si erano innamorati e avevano messo al mondo altri 5 pargoli, Amico era tra questi. “C’erano anche i trovatelli – spiega – tutti cuginetti acquisiti. Pitrino era molto affezionato a noi. Non c’erano legami di sangue ma per noi era un cugino a tutti gli effetti”. All’appello dei fratelli poi se ne sono aggiunti altri due, nati dall’incontro di Dolci con la seconda moglie, Elena, una pittrice svedese. Era un grand’uomo, anche d’aspetto. Le spalle larghe, Dolci era alto quasi due metri: “Quando lo abbracciavo non riuscivo a chiudere il cerchio con le braccia, era molto affettuoso e giocoso. Ogni tanto lo chiamavo papone”, ricorda Amico, sorridendo. Era un padre severo e al contempo dolce, non si arrabbiava mai, né diceva parolacce. “Da bambini gli chiedevamo ‘Papà sei mai stato monello?’ Eravamo molto curiosi di sapere come fosse da ragazzo”.

Si alzava alle 4 del mattino per leggere – Da giovane Danilo Dolci era uno sportivo, sapeva sciare e suonava il pianoforte. A 18 anni aveva già pubblicato le prime poesie. “Da piccolo leggeva molto – racconta il figlio – il suo tempo preferito era la mattina, si alzava presto per leggere e già alla scuola media aveva letto tantissimi libri”. Non a caso i compagni di classe lo chiamavano ‘lasciami finire il capitolo’: aveva sempre sotto il banco un libro da finire. Quella di svegliarsi prima dell’alba è un’abitudine che Dolci manterrà anche in età adulta. Voleva fare l’architetto per chi una casa non se la poteva permettere. E infatti dopo la maturità si iscrisse ad Architettura, ma a 4 esami dalla laurea lasciò l’università per dedicarsi ai poveri. “Non voglio costruire case per chi le ha già”, diceva. Così Dolci si sposta a Nomadelfia, la comunità di volontari cattolici guidata da don Zeno Saltini. Poi, nel 1952, fa una scelta ancora più radicale: si trasferisce in Sicilia.

In Sicilia perché c’era tanto da fare – “Che dentro una casa non ci fosse acqua corrente, per lui era una sorpresa – ricorda Amico – ne rimase colpito già da ragazzo, quando veniva in vacanza a trovare il nonno (ferroviere in servizio sull’Isola)”. A Trappeto negli anni ‘50 non c’erano strade asfaltate e il corso principale confluiva nelle fognature. Ma la cosa più grave era che si moriva di fame. In questo periodo Dolci scrive “Fare presto (e bene) perché si muore”, un libro che raccoglie le storie di pescatori, braccianti, vedove e disoccupati. “Per lui la vita di ciascuno era importante – sottolinea Amico – andava laddove mancava questa attenzione”.

La morte del piccolo Benedetto e il primo digiuno – Il 14 ottobre del 1952 a Trappeto un bambino muore per fame. Si chiama Benedetto Barretta. Danilo Dolci si sdraia sul suo letto e inizia il primo digiuno collettivo. “Non era da solo – spiega Amico – si sono messi d’accordo in tre. Se papà fosse morto avrebbero continuato i suoi due amici pescatori, Paolino e Toni”. A chi lo definiva eroe, Dolci rispondeva: “Non si tratta di eroismo, ma di istinto. Nessuno dotato di un minimo di sensibilità riuscirebbe a mangiare se vedesse dei bambini morire di fame”. Erano gli anni ‘50, quelli del boom economico, che in Sicilia arriverà con diversi anni di ritardo.

Le marce e gli scioperi – Dolci era un uomo rigoroso, schietto, un papà e lavoratore instancabile. Nonostante la densa attività sociale, riusciva a ritagliare del tempo anche ai figli: “Quando c’era, c’era molto – spiega Amico – i momenti più belli insieme li passavamo in mare”. Le passeggiate in barca erano un misto di impegno e disciplina. “Ognuno aveva il suo ruolo: chi portava la spugna, chi la benzina, l’imbuto. Era una festa”. Ma com’era essere i figli di Danilo Dolci? “Da bambini andavamo molto fieri del lavoro di papà – spiega Amico – nelle marce c’eravamo sempre, scrivevamo noi i cartelli con le frasi di protesta”. Tornavano a casa stanchi ma con un sentimento comune: prendere parte al cambiamento.

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Nelle foto in alto: Amico Dolci e il padre Danilo.

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