Non so quanti oggi si ricorderanno di lui. Non so se il ministero dell’Istruzione lo farà e non so nemmeno se il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani spenderà due parole per questo grande siciliano d’adozione. Chissà, forse faranno memoria di lui a Sesana, in Slovenia, dove è nato. Sto parlando di Danilo Dolci nato cent’anni fa oggi. Per don Lorenzo Milani e Mario Lodi si sono proclamate – giustamente – manifestazioni, comitati, edizioni di ogni tipo; ma Dolci – se non per la grazia di pochi – rischia di essere dimenticato dai più.
Perché? La risposta è semplice, persino banale: troppo, troppo scomodo. Per tutti. Per le istituzioni. Per la Chiesa.

Parlare di Danilo significa riportare a galla l’intensa attività di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico. Dolci nel 1965 arrivò a fare pesanti accuse – formulate in una conferenza stampa dopo un’audizione in Commissione antimafia e documentate in Spreco (Einaudi, Torino, 1960) e Chi gioca solo (Einaudi, Torino, 1966) – a esponenti di primo piano e a notabili della vita politica siciliana e nazionale. Tra essi Calogero Volpe e il ministro del Commercio con l’estero Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica.

Parlare di Dolci vuol dire scomodare Madre Chiesa e il cardinale Ernesto Ruffini che ,in una lettera pastorale del 1964, indicò il romanzo-capolavoro di Tomasi di Lampedusa Il Gattopardo, il gran parlare di mafia e Danilo Dolci come le tre cause che maggiormente contribuivano a disonorare la Sicilia.

Eppure quell’uomo, quel poeta, sociologo, educatore, attivista, pacifista fu in Sicilia un profeta. E’ sicuramente lui il “Gandhi” italiano, come lo chiamavano. Bastano questi episodi per farsene una ragione.

Il 14 ottobre 1952, a Trappeto, Dolci diede inizio alla prima delle sue numerose proteste nonviolente, il digiuno sul letto di Benedetto Barretta, un bambino morto per la denutrizione. Se anche Dolci fosse morto di fame, lo avrebbero sostituito, in accordo con lui, altre persone, fino a quando le istituzioni italiane non si fossero interessate alla povertà della zona. La protesta, dopo aver attirato l’attenzione della stampa, venne interrotta quando le autorità s’impegnarono pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di un impianto fognario.

Il 30 gennaio 1956 ebbe luogo, a Partinico, un paese tra Palermo e Trapani, lo sciopero alla rovescia. Alla base c’era l’idea che se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare invece lavorando. Così centinaia di disoccupati si organizzarono per riattivare pacificamente una strada comunale abbandonata; i lavori verranno fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, venne arrestato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a disobbedire alle leggi e invasione di terreni. L’episodio suscitò indignazione nel Paese e provocò numerose interrogazioni parlamentari. Il processo ebbe enorme risalto sulla stampa, e tra i suoi avvocati difensori ci fu il grande giurista Piero Calamandrei.

Sono stato molte volte al “Borgo di Dio” a Partinico dove lui viveva con la gente, dove aveva realizzato un luogo ove praticare la maieutica: è ancora oggi visibile il teatro, quei tavoli circolari ove fare le riunioni guardandosi tutti in faccia. Sono stato a vedere anche dov’è il centro educativo di Mirto, quella scuola da lui voluta in una frazione che desse la possibilità ai bambini di vedere il mare e di vivere le stagioni. Scrive di lui Aldous Huxley: “Danilo Dolci è uno di quei moderni francescani muniti di laurea. Nel suo caso, la laurea è in architettura e in ingegneria, ma intorno a questo nucleo centrale di conoscenze specialistiche vi è un alone di cultura scientifica generale. Sa di cosa parlano gli specialisti di altri campi, rispetta i loro metodi ed è pronto ad accogliere volentieri i loro consigli. Ma ciò che sa e ciò che puoi imparare da altri specialisti è sempre per lui lo strumento di carità. L’amore lo ispira a usare le sue conoscenze a beneficio dei deboli e degli sfortunati”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Stefano Ferri, un lottatore in tacchi a spillo e tubino. “Per essere felici ci vuole coraggio”

next