Si comincia a parlare di un ipotetico ritiro di Joe Biden dalla elezioni presidenziali del 2024. Dal fronte dei Partito democratico, infatti, filtra nervosismo dopo l’esito del duello tv del presidente con Donald Trump. Diversi dirigenti dem ipotizzano un cambio di candidato in corsa, ma dovrebbe essere Biden a compiere il primo passo. Il presidente ha infatti ottenuto nelle primarie abbastanza delegati (il 95% dei quasi 4.000 in palio) per conquistare la nomination alla convention di Chicago di agosto. In quell’occasione solo un suo eventuale passo indietro consentirebbe al partito di nominare un nuovo candidato, con un meccanismo complesso e non considerato per decenni.

Come funziona – Tutti i delegati ottenuti da Biden, infatti, si sono impegnati a votarlo. Nel caso in cui il presidente si ritirasse, in ogni caso, diventerebbero uncommitted, cioè non impegnati. Molto probabilmente, però, seguirebbero tutti l’eventuale indicazione del presidente, nel caso di un ritiro dell’inquilino della Casa Bianca. Se il presidente e il partito non decidessero su chi puntare, si rischierebbe di avere una corsa aperta fra diversi candidati, chiamati a ottenere il voto dei delegati. Si tornerebbe al vecchio sistema della Primarie dei Democratici, quando la convention stessa era un evento di campagna elettorale. Se invece Biden dovesse ritirarsi dopo la convention di agosto, toccherebbe al presidente del Partito democratico Jaime Harrison scegliere un candidato alternativo, dopo essersi consultato con i governatori democratici e i membri del Congresso.

L’ipotesi Harris e le primarie open and brokered – Il ritiro di Biden non fa scattare automaticamente la candidatura Kamala Harris. Se l’inquilino della Casa Bianca dovesse fare un passo indietro, dovrebbe convincere i suoi delegati a sostenere la vicepresidente. Se Harris arrivasse alla nomination, dovrebbe poi scegliere il suo vice, aprendo una battaglia fra le stelle del partito. Nella scelta del nuovo candidato potrebbero avere un ruolo importante anche i superdelegati, i funzionari eletti e i leader di partito che possono votare chi vogliono e ai quali i Democratici hanno strappato gran parte dei loro poteri dopo la controverse primarie del 2016. Questi sarebbero liberi di votare se nessun candidato ottenesse la maggioranza dei delegati al primo scrutinio: in una convention “open and brokered” i 700 superdelegati potrebbero così giocare un ruolo decisivo. La convention è brokered quando nessuno ha i delegati per conquistare la nomination e diventa open quando dopo il primo scrutinio nessuno ha la maggioranza dei voti dei delegati.

Il precedente- Per quanto riguarda i precedenti storici, solo Lyndon Johnson rifiutò di correre nel 1968. Subentrato a John Kennedy dopo l’attentato di Dallas nel 1963, eletto l’anno successivo, Johnson poteva ricandidarsi ancora nel 1968, dato che il XXII emendamento della Costituzione americana fissa a due il limite di volte in cui una persona può essere eletta alla presidenza. Nel caso dei subentrati, non valgono i mandati svolti per meno di due anni. Era il caso di Johnson, che quindi aveva le carte in regola per correre ancora nel 1968: incalzato dalle proteste per la guerra in Vietnam, annuncio il passo indietro nel mese di marzo, quindi molto prima della convention di agosto. Che sarebbe stata vinta, probabilmente, da Bob Kennedy: il fratello di Jfk venne però assassinato in un hotel di Los Angeles, la sera in cui vinse le Primarie in California. Al suo posto alla storica convention dell’agosto 1968 i Democratici scelsero Hubert Humphrey, vice di Johnson, che quindi corse pur senza vincere le Primarie e poi venne sconfitto da Richard Nixon.

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