“C’è un senso di shock per come ha esordito all’inizio di questo dibattito. Come suonava la sua voce. Sembrava un po’ disorientato“, ha detto parlando di Joe Biden alla Cnn David Axelrod, uno dei massimi funzionari della Casa Bianca e della campagna elettorale dell’ex presidente Barack Obama. “Poi si è ripreso con il passare dei minuti, ma si è diffuso un senso di panico. Ci saranno discussioni per decidere se continuare o meno” con lui, ha aggiunto Axelrod. Se il presidente uscente, apparso in evidente difficoltà durante il dibattito di questa notte con Donald Trump, decidesse di non correre per la rielezione di novembre la Convention nazionale democratica di Chicago, che si svolgerà dal 19 al 22 agosto, dovrebbe nominare un sostituto. Per il momento comunque il passo indietro di Biden viene escluso: “Non abbandonerà la corsa”, dice Seth Schuster, portavce del presidente uscente. “Non c”e niente che indica che gli elettori siano d’accordo con il suo ritiro”, dice un consigliere del presidente. Sul tavolo del Partito democratico, però, ci sarebbero diverse potenziali opzioni per sostituire il candidato in corsa.

Kamala Harris

La vicepresidente affianca Biden nella corsa elettorale, ha difeso il presidente dopo il dibattito, apparentemente sarebbe la sostituta naturale ma ciò non significa che l’avvicendamento possa avvenire in maniera automatica. Biden non può nemmeno “nominarla” direttamente se dovesse decidere di abbandonare la corsa. Durante il mandato Harris è stata ampiamente criticata per non essersi ritagliata un ruolo decisivo nell’amministrazione e nei sondaggi ha bassi indici di gradimento, un limite che la vedrebbe in seria difficoltà a competere con un “animale da palcoscenico” come Trump in una campagna elettorale. Se Biden decidesse di abbandonare la sua campagna di rielezione, Harris probabilmente si unirebbe ad altri importanti candidati democratici che cercano di sostituirlo. Ma ciò aprirebbe probabilmente uno scenario in cui lei e altri finirebbero per fare pressioni sulle singole delegazioni statali alla convention per ottenere il loro sostegno. Eventualità che non si verificava ai democratici dal 1960, quando John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson si contendevano i voti nella convention democratica di quell’anno a Los Angeles.

Gavin Newsom

Cinquantasei anni, governatore della California, l’anno scorso ha avuto un dibattito in prima serata con il governatore della Florida Ron DeSantis, che potrebbe essere un incontro presidenziale del futuro, e ha tenuto a sostenere i democratici nelle elezioni lontano dal suo stato d’origine, che molti hanno letto come un anticipo della campagna per la Casa Bianca. Ieri però ha detto ai giornalisti dopo il dibattito che il suo partito “non potrebbe essere più unito dietro Biden” e ha affermato che Biden non dovrebbe farsi da parte.

Jay Robert Pritzker

Cinquantanove anni, governatore dell’Illinois, potrebbe sfoggiare tra le proprie credenziali quella di aver codificato il diritto all’aborto in Illinois e di averlo dichiarato uno “stato santuario” per le donne che intendono esercitare il diritto all’interruzione di gravidanza. Ha preso anche decisioni nette in tema di controllo delle armi e ha legalizzato la marijuana ricreativa.

Gretchen Whitmer

Cinquantadue anni, governatrice del Michigan, era nella rosa dei candidati democratici per la carica di vicepresidente nel 2020 e la buona prestazione alle elezioni di medio termine per il partito democratico è stata in parte attribuita anche al suo ruolo di governatrice. Withmer si è schierata a favore di leggi più severe sulle armi, dell’abrogazione dei divieti di aborto e ha sostenuto l’estensione del diritto all’asilo nido.

Sherrod Brown

Settantuno anni, sarebbe il più anziano tra i candidati alternativi a Biden, ma ha comunque sette anni meno di Trump. Non ha corso per la nomination democratica del 2020 e all’epoca affermò che vedeva il proprio mandato come senatore dell’Ohio come “il posto migliore per me per combattere la battaglia” a nome dei lavoratori. Voce forte sui diritti e le tutele dei lavoratori, si è espresso anche in favore della tutela della fecondazione in vitro e dell’aborto.

Michelle Obama

Il nome dell’ex First Lady aleggia fin dall’inizio sulla campagna di Biden, inficiata fin dalle prime ore dai dubbi sulla sua salute. Michelle può contare su una buona credibilità tra i Democratici, gode di considerazione sul piano internazionale e, secondo alcuni commentatori, sarebbe in grado di convincere una parte degli indecisi. I suoi rapporti con il clan Biden, tuttavia, non sarebbero buoni. Citando fonti anonime il portale d’informazione Axios riferisce che l’ex First Lady avrebbe “privatamente” espresso “frustrazione” nei confronti della famiglia del capo della Casa Bianca, che sarebbe aumentata dopo il divorzio tra la sua amica Kathleen Buhle e Hunter Biden, figlio del presidente. Lo hanno detto , aggiungendo che le tensioni interne alla famiglia del presidente, acuite dal processo contro Hunter per possesso illegale di arma da fuoco in Delaware, hanno contribuito alla scarsa presenza degli Obama al fianco dell’attuale presidente, durante la campagna. Il che renderebbe più remota la possibilità che Biden possa fare il suo nome nel caso decidesse di ritirarsi.

Secondo alcuni media statunitensi, altri candidati battuti da Biden alle primarie del partito del 2020 potrebbero riprovarci, tra cui i senatori Bernie Sanders del Vermont, Elizabeth Warren del Massachusetts e Amy Klobuchar del Minnesota, così come il segretario ai trasporti Pete Buttigieg.

Il percorso, nel caso di una rinuncia o di una sostituzione decisa dal partito, sarebbe comunque pieno di insidie. Diversi ambienti conservatori hanno fatto sapere che se Biden dovesse abbandonare improvvisamente la corsa intraprenderebbero azioni legali in tutto il paese, mettendo potenzialmente in dubbio la legalità del nome del candidato democratico sulla scheda elettorale.

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