In 35 anni abbiamo avuto 55 mila morti sul lavoro, ma non sappiamo nulla su come sono andati a finire i relativi processi. Quanti imprenditori sono stati condannati per questi decessi? Quanti assolti? Quanti procedimenti sono finiti in prescrizione? Sono le domande che, in tono perentorio, si è posto il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, mandando una richiesta al ministero della Giustizia affinché pubblichi tutti i dati sui procedimenti penali per omicidio colposo e lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. L’iniziativa è stata presentata durante un evento a cui ha partecipato la mamma di Luana D’Orazio, operaia di 22 anni morta tre anni fa dopo essere stata risucchiata in un orditoio manomesso in un’azienda di Prato.

La sensazione, però, è che l’esito di queste sia ampiamente prevedibile: la maggioranza dei processi finisce infatti in prescrizione. Questa è la percezione dell’avvocato Roberto De Vita dello studio Devitalaw, autore di uno studio con un titolo eloquente: “Il lavoro che uccide – La strage impunita”. “È già facile dedurre come la maggior parte dei procedimenti per questo reato per fatti commessi prima del 2017 si sia prescritta o si prescriverà prima di giungere a sentenza definitiva”, si legge. “Così come è intuibile – procede il documento – che la maggior parte dei procesdimenti per fatti commessi dopo il 1 gennaio 2020 diverrà improcedibile per la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni previsto dalla riforma Cartabia”. Se prendiamo l’esempio di Roma, infatti, le indagini preliminari durano tra i 730 e i 1.095 giorni; il processo di primo grado assorbe 766 giorni e quello di secondo grado 1.106 giorni.

L’unico tribunale che pubblica il dato è quello di Sondrio, dove emerge che la durata media dei processi per omicidio sul lavoro è di 386 giorni. In Campania, invece, si registra una palese incongruenza: nella provincia di Napoli risulta solo tre procedimenti penali nel 2023, mentre l’Inail dice che in quell’anno abbiamo avuto 9 morti. Questa mancanza di trasparenza non è giustificabile: “In base al Foia e agli obblighi derivanti da Pnrr e Unione europea, i dati riguardanti i procedimenti penali per tipologia devono essere resi pubblici e non deve servire nemmeno una richiesta di accesso agli atti”, ha spiegato l’avvocato Roberto De Vita. “Il motivo della mancanza di trasparenza – ha aggiunto – è l’imbarazzo che precipiterebbe quando il Paese dovesse scoprire che in materia di morti e lesioni sul lavoro non c’è risposta giudiziaria”.

La prossima riforma della prescrizione, che ripristinerà il regime precedente al 2017, aggraverà la situazione. La Uil, tra l’altro, cita i numeri per riflettere sulle emergenze del Paese. Come detto, tra il 1983 e il 2018 i decessi sul lavoro sono stati 55 mila, nello stesso periodo gli omicidi legati alla criminalità organizzata sono stati 6.681. “Se la mafia avesse ucciso tre persone al giorno – ha tuonato il segretario Bombardieri – come avrebbe reagito lo Stato?”. “Abbiamo chiesto alla presidente del Consiglio di fare diventare la sicurezza la priorità del governo – ha aggiunto il leader della Uil – ed è rimasta inascoltata”.

Bombardieri ha anche lanciato una polemica politica, riferendosi alla morte del bracciante Satnam Singh: “Forse la provincia di Latina gode di un trattamento a parte perché il centrodestra prende molti voti? In quelle serre hanno scoperto oggi che ci sono caporali? Va chiusa l’azienda e arrestato chi ha compiuto quegli atti – ha detto il segretario –. A Latina si deve far finta di non vedere? C’è un’extra-territorialità politica, non si devono disturbare i manovratori? Non bisogna più essere politicamente corretti”.

Alla presentazione è intervenuta Emma Marrazzo, mamma di Luana D’Orazio, morta nel 2021 a causa di un macchinario manomesso al fine di rendere più rapido il ciclo produttivo. Malgrado questa circostanza, il reato contestato è stato l’omicidio colposo: “Dopo tre mesi c’è stata la perizia che parla chiaro, il macchinario era stato disattivato, mia figlia era apprendista ma faceva orari da operaia. La pena è stata di due anni per la titolare e un anno e sei mesi per il compagno, più multa di 10 mila euro con giudizio di pena sospesa e patteggiamento”. “La ministra Calderone – ha aggiunto – dovrebbe venire a vivere a casa mia. Ora ho capito perché si chiamano morti bianche: perché non paga nessuno”.

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