Pensieri in libertà (con libertà di pensiero) sulla settimana NBA
Il Draft della NBA non è una scienza esatta. Lo si ripete anno dopo anno come un mantra. Come mai? Perché è vero. Altrimenti non ti spieghi come Steph Curry, il miglior tiratore della storia, sia scivolato alla scelta 7 nel 2009. Così come sarebbe difficile interpretare, andando a ritroso, Dennis Rodman alla 27 nel 1986 o anche Tony Parker alla 28 nel 2001. Non il Draft più pieno di talento della storia, quello appena tenutosi. Tanti progetti (leggasi “giocatori tutti da costruire”), nessuna stella pronta all’uso, stile Carmelo Anthony per intenderci. Questo ovviamente sempre sulla carta. E una constatazione: la Francia continua a sfornare giovani talenti, visto che dopo Wembanyama (prima scelta del 2023), anche le prime due scelte di quest’anno (Risacher e Sarr) sono di origine francese, così come la 6 (Salaun). Considerando che, in assoluto, tra i primi dieci giocatori della NBA attualmente ci sono un serbo (Jokic), uno sloveno (Doncic), un greco (Antetokounmpo), un canadese (Gilgeous-Alexander) e un camerunense (Embiid), gli Stati Uniti dovrebbero seriamente iniziare a porsi delle domande.
Draft Nba, le prime dieci scelte: Risarcher alla uno, Holland quinto
– Zaccharie Risacher (Atlanta Hawks). Difficile, a bocce ferme, vedere in lui una futura stella di prima grandezza. Ala di 204 centimetri, con grandi qualità nella difesa sulla palla: si muove bene lateralmente e ha braccia lunghe e velenose negli aiuti. Sostanzialmente, il francese è un tiratore da tre molto preciso sugli scarichi. Può sparare indifferentemente con l’uomo addosso o fare passo laterale per mandare al bar il difensore e concludere indisturbato. Non male in transizione, ma soffre tremendamente l’attacco a centrocampo. Non il miglior tiratore di liberi in circolazione.
– Alex Sarr (Washington Wizards). Velociraptor di 213 centimetri, con apertura alare da albatros. Ha grande potenziale di crescita, ma c’è tanto lavoro tecnico da fare. Leggasi: i mezzi ci sono, ma è ancora un po’ grezzo. Rapido in transizione, mobile, molto a suo agio come tagliante, ha un grande feeling per il gioco (il che fa ben sperare, perché questa cosa non si insegna). Non è un tiratore affidabile da fuori e, a dirla tutta, nemmeno dalla media. Per ora. Sa però trattare bene la sfera e ha mostrato incoraggianti flash al capitolo “assist”. In difesa, è in grado di stoppare anche un Concorde a velocità Mach 2.
– Reed Sheppard (Houston Rockets). Piccolo (188 centimetri), ma terribilmente dotato sia in attacco che in difesa. Una point-guard che palla in mano sa il fatto suo e che in difesa nonostante i limiti fisici è come la gramigna. Sembra che te ne sia liberato, ma poi ritorna puntualmente. Buon occhio per il passaggio, anche se spesso tende a servire i tagli raccogliendo il palleggio, rallentando il flusso. Ha un tiro da fuori che fa provincia, anche da distanza “Curry”, con un gran rilascio. Ma deve lavorare di più sul trattamento della sfera, perché dal college alla NBA la velocità raddoppia e ogni imprecisione rischi di pagarla salata.
– Stephon Castle (San Antonio Spurs). Doberman difensivo già pronto, in questo fondamentale, a fare la sua parte anche al piano di sopra. Scivola lateralmente che è una bellezza, passa in modo famelico attraverso i blocchi su ogni pick-and-roll, ha voglia e spirito di sacrificio. Problemi? Si, il tiro da fuori è non pervenuto. Spesso gli avversari gli concedono anche un paio di metri sul perimetro, lui si butta in mezzo, con risultati caotici e tiri sconclusionati.
– Ron Holland (Detroit Pistons). Atleta esplosivo, che in transizione sembra morbido come il burro spalmato sul pane caldo. Salta in alto come se sul parquet ci fossero i coccodrilli. Difensore arcigno, di quelli che si prendono in custodia il primo violino avversario e lo seguono finché questi non ha chiuso lo sportello della propria auto per tornare a casa. Il tiro da tre? Questo sconosciuto…
Draft Nba, le prime dieci scelte: da Charlotte a Utah
– Tidjane Salaun (Charlotte Hornets). È talmente ancora un progetto, che sembra uno schizzo a matita su un foglio bianco. Le ipotesi più ottimistiche parlano di un giocatore dalla grande energia che, dopo tanto lavoro, sarà in grado di difendere in modo dinamico su più ruoli e farsi trovare pronto dal perimetro per un tiro sugli scarichi. Quando passa la palla sembra stia cercando di completare un Cubo di Rubik con le orecchie.
– Donovan Clingan (Portland Trai Blazers). Una sorta di Torre Eiffel (circa 220 centimetri) sempre pronta a ricacciarti in gola qualsiasi tiro scoccato al di qua della linea da tre e, nell’azione dopo, a raccogliere un lob lanciato a un metro e mezzo sopra il ferro. Ma non è solo uno stoppatore. Sa anche difendere di posizione in post-basso. Sa servire i tagli dei compagni. Sa rollare dopo aver portato un blocco. Come movimenti sul perno in attacco, invece, siamo all’abc. Ah, al capitolo “tiri liberi” sembra Shaquille O’Neal. E non è un complimento.
– Rob Dillingham (Minnesota T-Wolves). Killer palla in mano tascabile (188 centimetri), dal palleggio può costruirsi un tiro in ogni fase del gioco. Giocatore molto creativo, bello da vedere, con un tiro da tre mortifero (44%), ancora di più sugli scarichi (48%). Il playmaking non sembra mancargli, ma con le sue dimensioni (e il suo fisico), sarà in grado di fare lo stesso anche in NBA?
– Zach Edey (Menphis Grizzlies). Fossimo stati negli anni ’90, sarebbe stata la prima scelta assoluta matematica. Era l’epoca in cui su un centro del genere ci costruivi una squadra competitiva. Un colosso alto 223 centimetri, che è in grado di schiacciare senza saltare. Se prende posizione sottocanestro, puoi fermarlo solo col badile. Mani dolci in stile Muresan, anche se non così rifinito tecnicamente. In attacco, oltre alla schiacciata, può tirare un decente semigancio, anche se tende a girarsi troppo solamente sulla spalla sinistra. Ovvio che può fare a spallate con King Kong e provare a stoppargli un sottomano. Ma nella NBA moderna, con la sua (limitata) velocità di piedi in difesa, sarà possibile permetterselo per più di 10-15 minuti a partita?
– Cody Williams (Utah Jazz). Ancora molto immaturo fisicamente. Poco esplosivo. Trattamento della palla da sviluppare. Però, l’ex Colorado ha istinti di playmaking innati e una spaventosa fluidità palla in mano. Se si rafforza nella parte alta del corpo, può fare bene. Ma in prospettiva. Molto in prospettiva.
…E poi c’è Bronny
Bronny James (LA Lakers). Si lascino perdere le attuali polemiche sul fatto che sia stato “raccomandato” dall’illustre padre, che altrimenti non avrebbe avuto nessuna chance al piano di sopra. È stato scelto in posizione 55, badate bene, la “Siberia” del Draft. Non alla 15. Il punto è che Bronny James non è ancora pronto per la NBA. Stop. Non ha tiro, non ha visione di gioco, tratta la palla così e così. È minuto (188 centimetri) sia per giocare play che guardia. In contropiede a volte si esalta (perché è atletico), ma a difesa schierata emergono tutti i suoi limiti in termini di efficienza offensiva, capacità di attaccare dal palleggio, pull-up jumper dalla media. Può diventare uno stopper difensivo credibile in uscita dalla panchina, perché ha voglia e durezza mentale. Salvo sorprese, e crescita inattesa, per adesso nulla di più.
That’s all Folks!
Alla prossima stagione.