di Federica Pistono*

La meditazione sul crepuscolo della vita e sul dissolversi della memoria, la riflessione sull’esilio e sull’assenza, il senso dell’identità e della nostalgia, sono le tematiche intorno alle quali ruota la raccolta poetica Non scusarti per quel che hai fatto del poeta palestinese Mahmud Darwish, recentemente edita in lingua italiana (Crocetti, 2024, traduzione di S. Darghmouni e P. Piccolo, premessa di M. Ruocco).

L’esperienza poetica di Mahmud Darwish, universalmente riconosciuto come il più autorevole portavoce della tragedia del popolo palestinese, nasce dalla volontà di descrivere l’indicibile, di trovare le parole per raccontare la perdita della patria e l’esilio senza ritorno. La sua produzione poetica s’incentra sulla dicotomia che lacera la sua anima come pure la coscienza collettiva palestinese: la presenza in Palestina e, contemporaneamente, l’assenza, l’affermazione dell’esistenza e l’amara costatazione del distacco, l’invito alla resistenza e la consapevolezza del proprio fato drammatico, la coscienza di un destino di oblio e il potere della memoria collettiva.

Non scusarti per quel che hai fatto è una raccolta composta di quarantasette poesie, quasi tutte inscritte nello spazio di una pagina, pubblicata per la prima volta nel 2004, solo quattro anni prima della morte del poeta. L’opera appartiene all’ultima produzione di Darwish, e appare incentrata sulla complessità dell’esistenza e sulla riflessione sul destino umano attraverso la descrizione di luoghi storici, mitici o tratti dell’esperienza quotidiana. Partendo dai ricordi personali, cui si sovrappone un caleidoscopio di luci e ombre, il poeta affronta i temi dell’esilio, dell’assenza e dell’oblio per coinvolgere il lettore in una dimensione simbolica, che prende le mosse però dalla memoria viva dei luoghi in cui si è compiuta l’esperienza personale del poeta e quella del popolo palestinese, un’esperienza la cui irreversibilità appare come unica sostanza del presente. La raccolta vuole dunque dare voce allo strazio interiore del poeta, stretto tra il ricordo sanguinante delle radici della propria esistenza e la condizione dell’apolide, destinato necessariamente a inserire i frammenti della propria storia in un orizzonte di lontananza e miraggi.

Il tempo e lo spazio dell’esule sono rappresentati come domande senza risposta, entità incomprensibili con le quali il poeta deve quotidianamente confrontarsi. Lo spazio è quello della patria perduta, del territorio dal quale si è stati espulsi e separati, il tempo è tanto l’oscuro presente quanto il doloroso passato. Ma l’esilio è anche un esilio dal sé, una condizione che Edward W. Said definiva un essere “sempre nel posto sbagliato”, la situazione di chi è eternamente straniero in qualunque tempo e luogo.

Assenza e oblio sono i motivi che segnano la transizione della poesia di Darwish dalla fase patriottica e rivoluzionaria degli esordi, della poesia della resistenza, a una seconda fase in cui, senza mai dimenticare le origini, il dramma palestinese è rielaborato attraverso la meditazione sull’esistenza, il richiamo ai luoghi e alla storia, la ricerca poetica come incessante interrogazione sul destino universale.

Se l’assenza e l’oblio, elementi centrali di quest’opera, minacciano costantemente di sottrarre l’identità e la storia al poeta e al popolo palestinese, alla memoria dei luoghi e ai simboli della patria è affidato il compito di proteggere l’esule. I luoghi perduti con la Nakba, la catastrofe palestinese del 1948, sopravvivono grazie alla poesia, la loro esistenza diviene eterna attraverso la testimonianza poetica.

Fra i simboli della patria, cui è assegnata la missione di combattere l’oblio, figurano uccelli, gazzelle e cavalli, immagini della memoria e della libertà, evocati dal poeta per rafforzare il sentimento identitario, ma anche gli ulivi e i cipressi che, come tutti gli alberi, rappresentano il radicamento alla terra, l’attestazione della presenza palestinese sul territorio, prima che l’arrivo dell’occupazione sconvolgesse i lineamenti della patria.

Se la memoria salva l’uomo dalla dimenticanza, è la poesia che sembra prometterli un futuro migliore, la poesia, solo e prezioso asilo dell’anima anche nelle epoche più buie.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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