A sei giorni dalle elezioni politiche che promettono di portare al governo il Labour dopo 14 anni di dominio conservatore, i sondaggi restano favorevoli ai Laburisti: secondo il poll tracker della BBC, aggiornato regolarmente, il Labour è stabile intorno al 40%, i Tories intorno al 20%, mentre Reform di Nigel Farage è ora il terzo partito, con il 16%, in vantaggio sui Lib-Dem al 12%.
Il dato di Reform fa riflettere: in teoria, il partito nazionalista, anti-immigrati e anti-Europa, cioè l’equivalente britannico del Fronte Nazionale di Marine Le Pen che potrebbe vincere in Francia, può arrivare al 19% del voto, e addirittura superare i Conservatori se dovessero scendere al livello più basso della proiezione, al 15. Da notare che, secondo il grafico, da maggio, quando Farage è “sceso in campo”, la crescita di Reform corrisponde quasi punto per punto al calo dei Tories, segno che una parte del bacino di destra sceglie la versione più estrema di alcuni punti del loro programma.
Le ragioni di questa debacle conservatrice sono ormai note a chi mi legge da tempo: innanzitutto c’è la conclusione fisiologica di un ciclo politico, iniziato con la vittoria a sorpresa di David Cameron nel 2010: ma in questi 14 anni, soprattutto a causa di Brexit, il Paese e il partito conservatore hanno subito una profonda trasformazione, un imbarbarimento del dibattito, una degenerazione del personale politico e l’impatto di una profonda crisi economica e infrastrutturale. Il leader uscito da questa crisi, Rishi Sunak, è tuttora considerato un corpo estraneo dagli iscritti, e manca del carisma necessario a salvare cioè che resta, senza parlare di impossibili ipotesi di rilancio.
Il sistema elettorale britannico, First past the post, è maggioritario puro, senza correttivi proporzionali: questo significa che alla percentuale di voto non corrisponde un numero proporzionale di seggi in Parlamento e che, per esempio, con il 16% di elettori Reform prenderebbe solo intorno ai 12 seggi. Ma è ovvio che la sua ascesa parla di una disaffezione che i Tories non sono riusciti a cogliere, malgrado per inseguire l’elettorato di Farage si siano decomposti.
Detto questo, l’impressione molto forte è che questa elezione non sia un plebiscito a favore del Labour ma contro i Tories, detestati, come rimarcava la copertina del tabloid londinese del pomeriggio Evening Standard, dal 72% della popolazione.
Gli endorsement per Keir Starmer arrivano da più parti, comprese pubblicazioni vicine al mondo della finanza e del commercio come l’Economist (fra l’altro di proprietà della famiglia Agnelli) e dalla comunità ebraica. Negli ultimi anni Starmer ha lavorato moltissimo per tessere rapporti al di fuori del tradizionale bacino laburista, o per ricucire, come appunto con la comunità ebraica, relazioni logorate dalla precedente segreteria di Jeremy Corbyn.
Ora cerca di lavorare sul lato personale: nel fine settimana ha circolato la sua foto con la moglie al concerto londinese di Taylor Swift.
Ma i dibattiti diretti pre-elettorali lo indeboliscono. Appare robotico, impacciato, burocratico, e l’ultimo si è concluso con un testa a testa con Sunak.
Nei dibattiti BBC ai candidati sono poste domande poste dal pubblico, che è in sala: Starmer è apparso particolarmente evasivo sull’immigrazione e sulla questione, molto sentita in particolare dalle donne, della protezione degli spazi esclusivamente femminili dalla presenza di donne trans.
L’evasività della sua posizione su questo ha portato anche JK Rowling, l’autrice di Harry Potter che negli ultimi anni è stata al centro di enormi polemiche per la sua posizione gender critical, a dichiarare che, dopo anni di supporto, non voterà per il Labour.
Ci sono altri segnali preoccupanti: dopo numerose conferme da colleghi, posso rivelare che i candidati laburisti hanno ricevuto dall’alto il diktat di non parlare con la stampa estera. Noi giornalisti stranieri fatichiamo da sempre ad avere accesso ai politici britannici, ma questo è un precedente allarmante molto per il governo in pectore.
Ci dobbiamo affidare a quello che viene riportato dai colleghi britannici fra cui questo divertente siparietto. Mentre fa canvassing, cioè il porta a porta elettorale nel proprio distretto che caratterizza le campagne elettorali inglesi, il deputato e candidato laburista Karl Turner viene avvicinato da un potenziale elettore, che lo apostrofa: “Volevo votare per voi, ma ho cambiato idea visto che volete tassare i condoms!”. Panico del deputato: “Vogliamo tassare i condoms?”. “Si l’ho visto in televisione!”. Provvidenziale la prontezza dell’assistente parlamentare, lo svelgio Terence, che collega e dice: “NON-DOMS! Vogliamo tassare i non-doms (i ricchi stranieri che approfittano di una clausola per dichiarare solo una parte dei loro redditi e pagare meno, come aveva fatto la moglie miliardaria di Rishi Sunak prima di venire scoperta, ndr). E l’elettore, rivolto alla moglie: “Margaret! NON-DOMS, non condoms!”.