Un anno fa di questi tempi, la grande fuga verso l’Arabia. Le nostre squadre depredate, piccole e grandi stelle di ogni Paese conquistate dalle sirene (diciamo pure dai soldi) degli sceicchi. È presto per dare un giudizio definitivo (il grande piano arabo è di medio-lungo termine e ha come orizzonte i Mondiali del 2034), ma intanto Euro 2024 ha smascherato il bluff della Saudi Pro League, che prometteva di essere un campionato vero. Invece almeno per il momento non lo è affatto: i 14 convocati del campionato saudita hanno fin qui rimediato una brutta figura al ritorno nella realtà europea. Cristiano Ronaldo è probabilmente il caso più eclatante: zero gol nel girone più modesto del torneo contro Repubblica Ceca, Turchia e Georgia. Però forse è anche il caso meno emblematico: arrivato alle porte dei 40 anni, CR7 era sembrato inadeguato già ai Mondiali 2022, un autentico corpo estraneo nel gioco del Portogallo. Non corre, non pressa, non dribbla più, vuole solo catalizzare fra i suoi piedi tutte le palle della manovra. Al punto che l’ex ct Fernando Santos in Qatar era stato costretto a epurarlo per ritrovare la sua squadra, e ha pagato con l’esonero quella decisione. Due anni in più sulla carta d’identità non potevano certo migliorare la situazione. Poi lui con la sua classe infinita magari riuscirà ancora a smentirci e ad essere decisivo ad Euro 2024, ma questo non cambia il discorso generale.

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È proprio il torneo degli altri, degli ultimi arrivati, a costituire la bocciatura maggiore per la Saudi League. E già definitiva, perché sono stati quasi tutti eliminati. Prendiamo ad esempio MilinkovicSavic, forse l’acquisto più clamoroso del mercato 2023, perché l’ex centrocampista della Lazio era davvero un giocatore all’apice della sua carriera, fisicamente dominante in Serie A. Soltanto un anno dopo è sembrato quasi un pensionato, lentissimo, inadeguato per una partita di livello internazionale. La sua Serbia è stata la nazionale più deludente del torneo e forse non a caso: i due giocatori migliori (c’è anche Mitrovic, sempre dell’Al-Hilal) giocano in Arabia. Discorso simile per il croato Brozovic, lontano parente del regista che incantava l’Europa e aveva giocato da protagonista l’ultima finale di Champions con l’Inter. Rakitic, invece, non è stato nemmeno convocato. Ruben Neves ha fatto la comparsa nel Portogallo, Laporte non è più titolare inamovibile nella Spagna, come Demiral nella Turchia, Wijnaldum (Olanda) e Carrasco (Belgio) erano già quasi ex e oggi sono ai margini delle loro nazionali. Forse l’unica eccezione sono il rumeno Stanciu, e N’golo Kantè, che non ha sfigurato (ma nemmeno entusiasmato) nella Francia (è comunque un giocatore con una cultura ed un’etica del lavoro fuori dal comune).

La spiegazione è semplice, chiara a chiunque abbia guardato una partita della Saudi Pro League. Non si tratta semplicemente di uscire dal giro e dai radar dei ct, perché oggi il calcio è davvero globalizzato. Ma di finire in un campionato che sarà pure il più ricco del mondo, ma rimane di un livello semi-professionistico, lontano anni luce anche dalle seconde divisioni dei campionati top. Allenamenti blandi, ritmi partita dopolavoristici, avversari in molti casi non all’altezza perché a parte i 4-5 “stranieri” per squadra il resto sono spesso dilettanti locali. La testa (e forse anche le gambe) che non girano più come prima. Un cimitero degli elefanti, insomma. Da cui come dimostrano gli Europei non è semplice fare ritorno.

Twitter: @lVendemiale

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