Dai due maxighetti della Capitanata con ottomila persone, alle campagne di Ragusa dove tuttora, nonostante inchieste e arresti, le braccianti rumene vivono in condizioni di totale sfruttamento, lavorativo e sessuale; dal Friuli Venezia Giulia dove la Flai-Cgil raccoglie decine di denunce contro i caporali, alla Piana di Gioia Tauro. La definisce “una bomba a orologeria” Jean René Bilongo, presidente dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, che della situazione del caporalato in Italia conosce i numeri e, soprattutto, le storie. Tutte diverse, tutte difficili. La verità è che poteva accadere anche altrove la vicenda di Latina, dove il bracciante indiano Satnam Singh è stato abbandonato davanti casa dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro ed è morto dissanguato. Sarà presentato il prossimo autunno il VII Rapporto Agromafie e caporalato, ma già la scorsa edizione ha fornito una vera e propria mappa del caporalato in Italia, individuando 405 tra località e aree in cui lo sfruttamento è sistematico.
La geografia del caporalato – “Abbiamo individuato 45 aree nel Nord Ovest, 84 nel Nord Est, 82 al Centro, 123 al Sud e 71 nelle Isole, a dimostrazione che questo non è un fenomeno che riguarda solamente e soprattutto il Meridione” sottolinea Jean René Bilongo a ilfattoquotidiano.it. Dalla mappa pubblicata sul rapporto è evidente che ci sono, poi, situazioni particolarmente critiche localizzate in alcune regioni. Basti pensare che in Sicilia ci sono 53 aree tra quelle individuate, in Veneto sono 44, in Puglia 41, nel Lazio 39, in Emilia-Romagna 38, in Calabria 29, in Campania 28, in Toscana, Piemonte e Lombardia rispettivamente 27, 22 e 21. “Le aree dove il fenomeno ha assunto da anni o sta assumendo dimensioni preoccupanti sono tantissime. Tra queste ci sono certamente – dice il presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto – la Capitanata in Puglia, la Piana di Gioia Tauro in Calabria, il Matapontino in Basilicata, ma anche la situazione a Rauscedo, frazione del comune di San Giorgio della Richinvelda, in Friuli-Venezia Giulia. E poi Trapani, Vittoria, in provincia di Ragusa e Cassibile (Siracusa), la piana del Fùcino, in provincia dell’Aquila, in Abruzzo”. Oltre a paghe da miseria, sfruttamento e condizioni di lavoro inaudite, che accomunano i braccianti che vi arrivano in Italia da Paesi diversi, poi ogni area fa storia a sé.
Gioia Tauro, una bomba a orologeria – “Stiamo registrando un aumentare delle situazioni di disagio psichico, per esempio, a Gioia Tauro. Segno che lo smantellamento delle tendopoli non dà i risultati sperati, anche perché non ci sono alternative, a parte il Villaggio della solidarità” è la tesi di Bilongo. Qui, infatti, ad aprile è stato sgomberato il campo container di Rosarno, insediamento nato dopo la rivolta del 7 gennaio 2010, ma rimasto provvisorio per circa dieci anni, arrivando ad ospitare anche più di 300 persone. Novanta lavoratori stagionali sono stati trasferiti nel ‘Villaggio della solidarietà’, realizzato nell’area della Betom Medma, ex cementificio confiscato alla cosca Bellocco. I posti, però, non bastano. A maggio 2024, inoltre, il consiglio comunale ha bocciato la delibera per sbloccare la riqualificazione dell’area di San Ferdinando, dicendo no all’ecovillaggio per i lavoratori immigrati, una struttura per ospitare 350 persone, già finanziata dalla Regione Calabria con 10 milioni di euro di fondi comunitari. L’obiettivo era quello di chiudere proprio la tendopoli di San Ferdinando che, insieme al campo container di Rosarno e ai casolari abbandonati di Contrada Russo, a Taurianova, è stata oggetto di un recente report dell’organizzazione umanitaria Medici per i Diritti Umani (Medu). Nella Piana, secondo il dossier, oggi ci sono circa mille persone, in calo rispetto alle circa 2.500 degli anni precedenti al 2020, dovuto a una contrazione nell’offerta di lavoro derivante dalla crisi ormai pluriennale del settore agrumicolo. “Le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti – spiega Medu – restano ancora ben lontane dagli standard minimi di dignità. I nuovi insediamenti istituzionali, inaugurati con estremo ritardo, costi elevati e fondati dubbi sulla sostenibilità futura, queste soluzioni riguardano solo una minima parte dei braccianti”. Resta il dubbio su quali saranno le sorti di centinaia di braccianti che raggiungeranno la Piana all’inizio della prossima stagione.
Piana di Metaponto, il centrodestra non apre il centro di accoglienza – Domande che ci si pone anche nella piana di Metaponto, in Basilicata. Il centrodestra alla guida della Regione ha deciso di non riaprire il centro di accoglienza per i lavoratori stagionali. “La mancata riapertura a Palazzo San Gervasio del Centro di accoglienza rende di fatto meno controllabile il fenomeno del caporalato” denuncia Antonio Nisi, dirigente Cia Basilicata, riferendo che “per ora a Palazzo sono arrivati tra i 50 e i 60 extracomunitari, quasi tutti di origine africana, ma il problema sarà decisamente più grave nelle prossime settimane”.
Il caporalato nel ricco Friuli tra vigneti e allevamenti di polli – Bilongo ricorda che nell’ultimo rapporto Agromafie e caporalato, le due aree indicate per il Friuli sono state Rauscedo e San Giorgio della Richivelda, entrambe a Pordenone. “Qui c’è ormai un sistema radicato – sostiene il sindacalista – che coinvolge cooperative spurie (quelle che mascherano l’individualità del caporale con una personalità giuridica di natura collettiva, ndr), commercialisti e professionisti di varia natura, come mostrano le indagini aperte sul territorio”. Nel 2021, in particolare, è stata aperta un’inchiesta dopo che una cinquantina di immigrati provenienti dal Pakistan e dall’Afghanistan, hanno denunciato i propri sfruttatori. Alcuni di loro erano costretti a lavorare non solo per dodici ore al giorno nei vigneti, ma anche di notte, raccogliendo i polli negli allevamenti. Questi lavoratori, e si tratta di un caso senza precedenti, hanno ottenuto il permesso di soggiorno proprio per lo sfruttamento subìto dai caporali.
Portati nella Piana del Fucino con i voli charter perché “indispensabili”. E sfruttati – Anche la Piana del Fucino, in Abruzzo, non fa eccezione. Il Pil prodotto nel Fucino è pari a circa un terzo di quello della regione. Oggi, tra i lavoratori stagionali, la maggioranza è di origine magrebina ed il resto di origine macedone, pakistana, tunisina. Come denunciato di recete dal sindacato Flai Cgil dell’Aquila, dopo quanto emerso nelle assemblee con i braccianti agricoli “il caporale di turno stabilisce differenze di paga oraria fra lavoratori che pure svolgo la stessa mansione nei campi, l’uno al fianco dell’altro, facendo dei profitti sulla loro fatica”. Bilongo ricorda con amarezza i tempi in cui, in pieno lockdown, gli imprenditori agricoli del Fucino fecero arrivare a proprie spese, a bordo di voli charter, i braccianti marocchini nel frattempo rientrati in patria, perché ritenuti “indispensabili” nella raccolta di patate, finocchi, lattuga e spinaci. “Passata la pandemia – commenta – tutto è tornato come prima, con le paghe da fame pre-pandemiche”.
Per gli immigrati della Capitanata “quella è l’Italia” – Tra Foggia e Manfredonia, in Puglia, c’è una situazione che Bilongo definisce “ormai storica”. L’area è quella della Capitanata, “dove ci sono due maxi ghetti con circa 8mila persone”. Borgo Mezzanone è nato negli anni Novanta, poi dal 2018 si è allargato nel vicino Centro di accoglienza per richiedenti asilo, chiuso e abbandonato dopo il decreto Salvini. Le condizioni sono rimaste disperate e, così, negli ultimi anni sono diversi i braccianti che hanno perso la vita in un rogo o perché intossicati dal monossido di carbonio mentre cercavano di riscaldarsi con un braciere. “Quella, però – commenta il sindacalista – è una situazione che neppure esplode, perché è consolidata. Quei ragazzi credono che quei luoghi siano la normalità. Per loro quella è l’Italia”. Diverse le inchieste, le storie di migranti per 10 ore di lavoro nei campi 15 euro al giorno, meno i cinque da restituire per il trasporto.
In Sicilia, dagli stupri di Vittoria ai raccoglitori di olivi nell’ex cementificio – Diverse le aree siciliane nella ‘mappa del caporalato’. Dieci anni fa, a Vittoria (Ragusa) scoppiò il caso delle bracciante rumene costrette non solo allo sfruttamento nei campi, ma anche a quello sessuale. Casi di figli nati, ma anche di tanti, tantissimi aborti. “Dopo le inchieste e gli anni passati – racconta Bilongo – ci sono meno aborti, ma le donne rumene sono ancora costrette a partecipare ai festini, per accontentare i caporali e i loro amici”. A Cassabile (Siracusa) ogni anno da aprile a giugno, in occasione della raccolta delle patate, diverse centinaia di migranti, soprattutto di origine marocchina e sudanese, si aggiungono ai circa 5 mila residenti del Comune. Normalmente si apre una struttura “ma una parte corposa dei lavoratori che arrivano vivono in condizioni inaccettabili”. A Trapani, invece, è stata sgomberata a maggio scorso l’area dell’ex cementificio ‘Calcestruzzi Selinunte’, a Castelvetrano occupata dai migranti che ogni anno arrivano per la raccolta delle olive: “Centinaia di sub-sahariani che, anche in questo caso, vivono in condizioni disumane, nonostante concorrano a sostenere una filiera importante per tutto il territorio”. Condizioni di vita “indecenti” anche per il ghetto di contrada Ciappe Bianche, in territorio di Paternò, dove viveva il bracciante marocchino Mouna Mohamed, ucciso a febbraio 2024 da un connazionale, in una stazione di servizio. Qui vivono i migranti impiegati negli agrumeti della Piana di Catania, sfruttati per pochi euro al giorno.
Il caporalato fuori dai campi. I casi del Veneto – Nel report dell’Osservatorio Placido Rizzotto, si dà ampio spazio anche al Veneto e, in particolare alla provincia di Treviso. Non che manchino le storie di braccianti, anche minorenni, a cui era stata promessa una paga di 6 euro all’ora e un contratto regolare per lavorare nei vigneti, ma che hanno visto solo botte e minacce di morte, ma è anche un buon esempio per mostrare che il caporalato non si fa solo in agricoltura. D’altro canto, ad aprile scorso è stato chiesto il processo per nove cittadini cinesi che sfruttano operai nei laboratori tessili e del comparto calzaturiero di ditte con sedi tra i comuni di Altivole, Borso del Grappa e Asolo. Nello stesso mese, altre due operazioni sono state condotte in due laboratori finiti nel mirino della Finanza, anche per caporalato, a Istriana e in quattro aziende di Villorba. Forse, però, il caso più emblematico resta quello di Grafica Veneta, l’azienda finita nella bufera a luglio 2021, quando 11 persone sono state arrestate per caporalato nei confronti di altrettanti lavoratori pakistani, sfruttati, picchiati, e costretti a turni di 12 ore al giorno, senza alcuna indennità. Né dignità.