Il 29 giugno 2009 alle 23.49 alla stazione di Viareggio un treno con quattordici cisterne che trasportava gpl deragliò dopo la rottura di un asse. A causa dello svio una cisterna subì uno squarcio, dal quale fuoriuscì il gas a cui seguì un’esplosione che uccise 32 persone ferendone un centinaio.

Questo 29 giugno saranno passati 15 anni dalla strage ferroviaria di Viareggio, una ferita indelebile per la città e per l’intera nazione che potrà lenirsi soltanto quando ci sarà piena giustizia e verrà intrapreso un concreto piano di sicurezza dei trasporti. Grazie all’impegno dei familiari delle vittime riuniti nell’Associazione Il Mondo che Vorrei, si è riusciti, tra tanti ostacoli e depistaggi, a far condannare i responsabili. Tra questi c’è l’ex ad di Rfi Mauro Moretti che per la quantificazione degli anni di carcere è stato previsto il rinvio alla Corte d’Appello di Firenze.

Appena eletto in Senato, depositai una mozione sul ritiro del cavalierato a Moretti sottoscritta da 70 colleghi. Scrissi all’attuale Presidente della Repubblica affinché direttamente possa riparare a quello che fu un pugno nello stomaco alle vittime, ai familiari a Viareggio, all’intero Paese e al senso di Giustizia. Mi rivolsi anche a Moretti: “Se sei un uomo rinuncia tu al cavalierato”. Ma i potenti sovente perdono il contatto con la propria umanità e si attaccano a dei simboli da dare in pasto al proprio ego che non gli permette di essere empatici e immedesimarsi nel prossimo.

Il 5 dicembre del 2018 nell’aula di Palazzo Madama i miei colleghi erano in fila per omaggiare con reverenza Giorgio Napolitano, quando fu il mio turno chiesi all’ex Presidente della Repubblica spiegazioni circa il conferimento, a pochi mesi dalla strage, del Cavalierato del Lavoro a Mauro Moretti. Un’onorificenza che fu assegnata mentre in contemporanea rifiutava la richiesta dei familiari delle vittime di incontrarlo al Quirinale. Napolitano fu molto sorpreso. Non si aspettava la mia richiesta di spiegazioni. Tentò, mentendo, di spiegarmi che a Moretti erano state attribuite responsabilità indirette e poi la scelta non dipendeva da lui, che gli era stata data una rosa di nominativi. Ma alla fine, dopo mie insistenze, ammise di essere stato lui a concedere il nulla osta alla nomina.

All’ex Presidente della Repubblica raccontai che quel 29 giugno fui tra i primissimi ad arrivare in stazione e che a circa cento metri di distanza dormiva mio figlio Manuel che aveva 3 mesi. Quella notte la casa tremò e anche lui poteva essere una vittima. Gli raccontai di Marco Piagentini e del suo corpo completamente ustionato, della perdita di sua moglie e dei suoi figli Luca e Lorenzo. Luca aveva 4 anni e come ha ricordato Marco si è “sciolto dal calore dopo l’esplosione”. Gli raccontai dell’altro figlio Lorenzo che aveva 2 anni che si spense da solo in un letto d’ospedale fasciato come una mummia. Gli raccontai di Emanuela, una ragazza solare e piena di vita, che prima di entrare in coma riuscì a telefonare alla mamma Daniela Rombi per tentare di tranquillizzarla.

Insistetti con il mio racconto ricordando quelle piccole bare bianche poggiate sul prato dello Stadio dei Pini il giorno dei funerali, lo strazio dei presenti. Napolitano per un attimo fece cadere la sua maschera tronfia di potere e vidi un anziano a cui si riempirono gli occhi di lacrime. Ma non mi fermai, quella mattina nell’emiciclo di Palazzo Madama andai contro la mia natura e fui cattivo. Gli dissi che si doveva vergognare e chiedere perdono dinanzi a tanta sofferenza.

Non so se Napolitano abbia chiesto perdono, pubblicamente non mi risulta. Mi auguro che prima o poi lo faccia Mauro Moretti perché portarsi in vita e poi nella tomba tutto questo dolore altrui non donerà mai pace.

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