A 19 anni dall’ultima volta, le elezioni presidenziali iraniane si decideranno ancora al secondo turno: dopo il testa a testa del 2005 tra Mahmoud Ahmadinejad e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, il prossimo 5 luglio saranno l’ultra-conservatore Saeed Jalili e il riformista moderato Masoud Pezeshkian a sfidarsi nel ballottaggio per eleggere il 14esimo presidente della Repubblica islamica, dopo la morte improvvisa in un incidente aereo di Ebrahim Raisi lo scorso 20 maggio. Il primo turno si è chiuso con un dato inequivocabile, cioè la bassissima affluenza al voto, specie per gli standard iraniani: poco meno del 40% degli aventi diritto si è recato alle urne, cioè oltre l’8% in meno rispetto all’elezione di Raisi nel 2021. Un dato che il chierico Moustafa Pourmohammadi, quarto classificato con poco più di duecentomila voti, ha commentato con un certo pragmatismo su X: “Un saluto a tutti coloro che si sono recati alle urne, e rispetto per coloro che non si sono fidati di noi (del sistema, ndr) e hanno deciso di non venire. La vostra presenza e la vostra assenza ci mandano dei messaggi, che spero verranno ascoltati”, ha scritto il religioso sulla piattaforma. La stessa su cui in queste ore è tornato a circolare un video risalente al 2001 in cui la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamene’i, massima carica dello Stato, definiva una “disgrazia” il 40% di affluenza alle elezioni americane, nonché “il segno che le persone non credono e non si fidano più del sistema politico”.
Dei 24 milioni di voti espressi, il 42,5% è andato al riformista Masoud Pezeshkian, chirurgo ed ex ministro della Sanità, che gli analisti alla vigilia davano per possibile vincitore soltanto nell’insperato caso di un’affluenza superiore al 60%. Saeed Jalili, il conservatore più oltranzista dei quattro candidati e prossimo rivale di Pezeshkian al ballottaggio, ha totalizzato il 38%, mentre Mohammad Bagher Qalibaf, speaker della Camera ed ex sindaco di Teheran, ha deluso le attese, ottenendo circa il 3%, nonostante una campagna elettorale ambiziosa ed una serie di tentativi di allargare la propria base rispetto a quella conservatrice tradizionalista, rivolgendosi sia all’elettorato degli “indigenti“, delle classi in assoluto più povere, sia ai centristi aperti ad un maggiore dialogo con l’Occidente. I primi, secondo l’analista Pejman Tavahori, sembrano aver scelto Pezeshkian – dopo aver votato per Raisi nel 2021 – mentre i secondi in buona parte si sono astenuti. La decisione di rimanere entrambi in corsa – anche dopo il ritiro “tattico” degli altri due candidati conservatori – ha finito per danneggiare sia Qalibaf che Jalili, ma l’operazione appare tutto sommato calcolata: la convinzione che l’affluenza rimanesse ben al di sotto del 50% era radicata e dava al fronte dei “principalisti” la quasi totale certezza di non veder vincere Pezeshkian al primo turno.