Julian Assange è libero e il prezzo è la libertà di stampa. Assange ha ammesso di aver commesso un reato inesistente e assurdo, spionaggio giornalistico? Lo ha fatto per tornare libero e certamente non lo si può giudicare negativamente per questo. Ma il precedente creatosi, l’ammissione da parte di un giornalista di aver infranto la legge per rendere pubblici fatti realmente accaduti, è un fatto gravissimo, che potenzialmente mette a repentaglio quei pochi veri giornalisti investigativi rimasti, gente che rischia la vita tutti i giorni per la verità.

Abilissimi gli avvocati che hanno trovato la soluzione ad un problema per anni irrisolvibile, abilissimi anche i negoziatori australiani, guidati dal primo ministro Antony Albanese, che hanno capito che era arrivato il momento giusto per convincere l’amministrazione Biden a trattare, abili anche i pubblici ministeri che con questa formula hanno cucito la bocca a future fughe di notizie ‘scomode’.

Chi esce vincitore da questa battaglia non è però l’Assange di Wikileaks ma Julian Assange l’uomo, intrappolato per anni in una rete internazionale tessuta dalle grandi potenze occidentali. Vincitori sono anche tutti coloro che vogliono mettere il bavaglio alla stampa vera, quella che ci racconta la verità. E perdenti siamo tutti noi perché l’ammissione di reato di Assange ci allontana ancora di più dalla realtà e ci avvicina a quel mondo di illusioni che i politici abilmente ci costruiscono intorno.

Un giorno felice quello della scarcerazione per Assange e triste per la libertà di stampa, insomma. Giorgia Meloni, che con i giornalisti neppure ci parla, se ne sarà rallegrata. Giorno tristissimo anche per i Cypherpunk, il gruppo di matematici, hacker, programmatori di computer e attivisti di cui Assange faceva parte con lo pseudonimo Proff. Nato negli anni Novanta nella Bay Area, il gruppo si costituì per proteggere nel web gli individui dallo stato, il cui scopo era spiarli. A tal fine i Cypherpunk dedicarono gran parte del loro tempo allo sviluppo di un codice crittografico indistruttibile.

Nel 1976, due matematici di Stanford, Whitfield Diffie e Martin Hellman, lo avevano inventato, si chiamava “crittografia a chiave pubblica”, ma Washington era intervenuta per bloccarne la divulgazione. Prima che Diffie e Hellman potessero pubblicarlo, la National Security Agency (NSA) li aveva messi in guardia che farlo avrebbe costituito un reato federale. Con l’Arms Export Control Act del 1976, infatti, il Congresso aveva de facto messo al bando la distribuzione e l’esportazione di armi verso altri paesi senza licenza, e la crittografia era stata classificata come “arma strategica”. La pena per la violazione era fino a dieci anni di carcere o una multa fino a 1 milione di dollari.

L’Arms Export Control Act segna l’inizio delle “guerre crittografiche” negli Stati Uniti: la battaglia legale e di pubbliche relazioni combattuta tra la comunità dell’intelligence e gli attivisti della privacy informatica, compresi i Cypherpunk. Il campo di battaglia era il diritto dei cittadini a utilizzare la crittografia per scopi personali, ovvero a rimanere anonimi online.

Fino all’inizio degli anni 90, la crittografia a chiave pubblica rimase dominio esclusivo del governo degli Stati Uniti, che ha costruito una serie di legislazioni attorno ad essa per garantire alle istituzioni governative l’accesso alla privacy crittografica dei cittadini. All’inizio del 1991, il Senato degli Stati Uniti introdusse una legge che obbligava i fornitori di servizi di comunicazione elettronica a consegnare i dati personali degli utenti alle autorità statali. L’approvazione della legge fu promossa dall’allora senatore Joe Biden, oggi presidente degli Stati Uniti. Nel 1993, il governo degli Stati Uniti ha introdotto il “Clipper chip”, un sistema di crittografia standard per Internet, le cui tutte chiavi sono detenute dalla National Security Agency.

Negli anni Novanta, la risposta dei Cypherpunk è stata creare e pubblicizzare un sistema crittografico a chiave pubblica. Lo fece l’attivista antinucleare e programmatore di computer Phil Zimmermann. Zimmermann è l’inventore del software Pretty Good Privacy, meglio conosciuto come PGP, che rese accessibile a tutti online e gratuitamente. Da quel momento in poi è diventato possibile per due individui comunicare senza alcun rischio che i loro messaggi venissero intercettati e decifrati da qualcun altro.

PGP ha aperto le porte al futuro dell’e-commerce ed è stato il nonno delle criptovalute e di Wikileaks. Gettò anche le basi del dark web, uno sviluppo che Zimmermann non aveva previsto e che anni dopo lo portò a pentirsi di averlo divulgato.

L’ammissione di reato di Assange è l’ultima sconfitta subita dai difensori delle libertà individuali online e la prigionia di Assange è l’ultima battaglia delle guerre crittografiche. Una sconfitta che rende più debole la protezione del sistema crittografico a chiave pubblica online, una sconfitta anche per la libertà dell’individuo dentro e fuori del web.

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