Il professor Pier Cesare Rivoltella non getta la croce sugli studenti italiani. Certo, in classe si distraggono con lo smartphone più dei “colleghi” europei, come indica la ricerca Pisa-Ocse pubblicata pochi giorni fa: il 38% dei quindicenni italici usa il telefono in aula, mentre il 29% è distratto dai primi. La media Ue invece è più bassa: rispettivamente 30 e 25 per cento. Nelle classi italiane, dunque, quasi 7 su 10 perdono l’attenzione per via del telefono. Gli effetti si vedono: chi non cede alle sirene dello schermo ottiene risultati in matematica più alti di 11 punti. “Ma lo smartphone non è dannoso in se, dipende dall’’abuso”, dice il prof dell’università di Bologna. Pier Cesare Rivoltella insegna Didattica e Tecnologie dell’educazione, ha firmato circa 500 ricerche.

Professore, perché gli studenti italiani sono più distratti dallo smartphone rispetto ai “colleghi” europei?
Per due ragioni: gli adulti italiani sono tra i più dipendenti dallo smartphone di tutta Europa e i nostri insegnanti, per lo più, ignorano le potenzialità delle tecnologie digitali. Come si fa a gettare la croce sugli studenti? Il problema è la società adulta che scarica colpe e mancanze sui più giovani. La verità è che i docenti europei sono più abili dei nostri ad insegnare un uso consapevole dello smartphone. Anche noi abbiamo insegnanti espertissimi, ma sono una minoranza.

Certi insegnanti, più inclini al digitale, raccontano di colleghi rimasti all’età della pietra: spiegazioni lunghe e lente, così i ragazzi finiscono per accendere il telefono.
Sono d’accordo, i docenti generalmente sono indietro e sovente risultano noiosi. Gli studenti a scuola si distraggono perché sono abituati alla velocità di internet e appena i giri scendono muore l’attenzione.

Lentezza e ridondanza però aiutano la chiarezza: la spiegazione di un prof non è una gara di velocità.
Per capire concetti complessi e assaporare il bello bisogna andare adagio. Giusto che il docente insegni il gusto della lentezza, come sostare davanti a un dipinto o apprezzare un’opera d’arte. Ma per tenere desta attenzione e curiosità, la scuola deve anche saper accelerare e adeguarsi al pensiero veloce delle nuove leve.

Gli insegnanti italiano sanno accelerare al ritmo degli studenti?
No, le eccezioni ci sono ma nella maggior parte dei casi non sono pronti. Di solito tendono a non complicarsi la vita e il lavoro, già difficile.

C’è pigrizia nei prof?
Assolutamente sì ma non è colpa loro. Influisce il contratto di lavoro, le difficoltà organizzative, le responsabilità che la società riversa sulla scuola. Risultato: le conoscenze tecnologiche dei docenti non sono all’altezza.

Come mai sono rimasti indietro?
È un problema di sistema: ai professori non è stata insegnata la cultura digitale, ma solo nozioni tecniche. I governi hanno investito sulla formazione informatica di base, cancellando il risvolto culturale dei nuovi media. Gli insegnanti hanno imparato ad accendere il computer, ad usare certi software, ma non sanno come influiscono sulle menti individuali e sulla cultura collettiva.

Dunque, se i ragazzi si distraggono con lo smartphone in classe, gli insegnanti hanno le loro colpe. E la famiglia?
Nove adulti su dieci hanno rinunciato del tutto all’educazione all’uso nuovi media e non fanno nulla per limitare l’uso degli schermi da parte dei più giovani. Un dato impressionante, frutto di un’indagine del 2019 condotta dal professor Pierpaolo Donati. Non possiamo dare la colpa ai giovani, quando si lasciano prendere la mano dallo smartphone anche a scuola.

Come si spiega l’inerzia dei genitori?
I motivi sono diversi. Talvolta non vedono il problema e credono che i ragazzi imparino da soli, senza l’aiuto degli adulti. Altre sopravvalutano il figlio. Oppure sono permissivi perché ritengono che lo smartphone non faccia male. In certi casi si affidano agli strumenti di parental control, impongo regole, dribblate facilmente dai ragazzi quando escono di casa e prendono in prestito il telefono di un amico. Spesso non è neppure colpa dei genitori: schermi e telefoni sono ovunque, pervasivi e diffusi in modo capillare, non si possono schivare.

L’Italia è uno dei Paesi con il più alto numero di smartphone rispetto alla popolazione.
Sì, nel vecchio Continente siamo ai primi posti. Non sorprendiamoci dunque se i ragazzi abusano dello smartphone, imparano anche per imitazione. Oggi l’80% dei minorenni usa il telefono per accedere a tutti i servizi, è il loro punto di contatto con il mondo. Nel 2006 solo la metà, il 42% dei ragazzi, utilizzava il telefono allo stesso modo. E ci sorprendiamo se oggi si lasciano distrarre in aula?

Dunque meglio vietare il telefono in classe? È un’idea delle destre: in Francia lo ha proposto Bardella, il candidato di Le Pen. In Italia il ministro leghista Valditara ha scritto nella circolare del dicembre 2022: “meglio tenerlo spento o in una cassettina fuori dall’aula”.
È una ricetta sbagliata. Se i telefoni restano fuori dalla classe, i ragazzi non impareranno mai il corretto utilizzo e possono cadere nell’abuso. L’Ue nel 2006 ha chiesto ai governi di farsi carico dell’educazione ai media inserendola nei programmi scolastici. L’Italia è uno dei pochi inadempienti. Ora arriva ChatGpt sul telefono e bisogna insegnar loro a gestire l’intelligenza artificiale.

Eppure, in vista delle nuove linee guida, l’ipotesi è di vietare l’uso didattico del digitale almeno nelle scuole materne, elementari e medie.
Il divieto per l’insegnamento è un’idiozia, anche prima delle scuole superiori.

Nemmeno alla materna e alle elementari condivide il divieto d’uso del telefono?
Prima dei tre anni i neuropsichiatri sconsigliano l’interazione tra i bimbi e gli schermi. Ma l’isolamento è impossibile e quasi sempre sin dall’asilo i più piccoli familiarizzano con lo smartphone. Quindi è meglio educarli subito all’uso delle tecnologie, almeno dalle scuole materne. Nella aule dei bimbi c’è l’angolo del morbido, della cucina, ma dovremmo aggiungere anche quello del digitale.

Non si rischia di alimentare l’abuso?
Al contrario, normalizzare uno strumento serve ad allontanare gli usi trasgressivi.

Quali dovrebbero essere le tre regole inderogabili dello smartphone a scuola?
Autoregolazione, alternanza, accompagnamento. È la regola delle tra A formulata dallo studioso Serge Tisseron. I ragazzi devono diventare autonomi, dunque imparare a regolarsi da soli. Ma possono riuscirci solo se li accompagniamo lungo il percorso, aiutandoli ad esplorare anche gli altri media: libri, televisione, cinema, mostre, concerti.

Alcuni esperti suggeriscono che un uso moderato dello smartphone può aiutare la didattica. Esempi concreti?
La condivisione dei contenuti tra studenti, le discussioni e la collaborazione, le ricerche su internet, le traduzioni da lingua a lingua, l’intelligenza artificiale per i riassunti e molto altro. Non si contano neppure gli usi utili, rinunciare allo smartphone è la scelta più sciocca. I rischi ci sono, è vero, ma vale per tutti i media e già i greci l’avevano capito con la scrittura. Per Platone era farmakon della memoria, cioè veleno e rimedio. Come lo smartphone: per neutralizzare il veleno, servono adulti e insegnanti.

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