Società

Stefano Ferri, un lottatore in tacchi a spillo e tubino. “Per essere felici ci vuole coraggio”

Vi racconto il mio incontro con Stefano Ferri, crossdresser illuminista e illuminato. Mi è apparsa una sua foto su Facebook e ho provato subito una forte simpatia per il suo volto sorridente e i suoi abiti femminili, così ho deciso immediatamente di scrivergli quanto segue: Ciao Stefano, sono Ricky Farina, ho un videoblog sul Fatto Quotidiano online dove posto i miei film ritratti agli esseri umani, se un giorno vorrai un mio film, sono a tua disposizione. Stefano mi ha risposto subito, accettando con fiducia visionaria la mia proposta.

Ci siamo scambiati i numeri, gli ho scritto “io porto sempre il cappello” e lui mi ha risposto “e io porto sempre i tacchi”. Gli ho proposto di fare il film ritratto in un posto per me magico: il caveau. Il caveau è un seminterrato elegantissimo, arredato con gusto e raffinatezza d’altri tempi, creato dal mio amico Alessandro Deiana per accogliere e aumentare lo stato di benessere di chi è ritenuto degno di varcarne la soglia. Il posto prende il nome da una bellissima cassaforte anni 40, solo che all’interno non ci sono gioielli o soldi ma bottiglie di ogni tipo: champagne, vino e liquori.

Stefano è astemio, ma Alessandro ha provveduto con un cocktail analcolico ai frutti di bosco, preparato con tutti i crismi. In sottofondo un rarissimo “jazz sovietico”, senza alcuna allusione al mostro Putin, omofobo e criminale. Stefano ci ha guardato per un momento con una deliziosa diffidenza partecipativa (chi sono questi due strani esseri?) e con il suo coraggio razionale si è lasciato andare, facendoci il dono della sua intelligenza e della sua sensibilità.

“Questo sorriso che vedete sul mio volto me lo sono dovuto sudare, non è piovuto dal cielo”. Lasciarsi andare è la chiave di tutto, ma bisogna lottare per ottenere l’espressione di se stessi contro le convenzioni che opprimono il nostro sentire. Stefano è un lottatore, un lottatore con i tacchi a spillo e il tubino. Molti “non ci capiscono un tubino” (perdonatemi la facile battuta) sul suo modo di vestirsi con abiti femminili, pur essendo Stefano un uomo sposato, eterosessuale e padre di una figlia.

All’inizio nemmeno Stefano ci capiva molto, ama ripetere questo concetto: se uno decidesse di diventare l’avvocato di se stesso, avrebbe come cliente un estraneo. Grazie alla psicoterapia Stefano è riuscito a capirsi meglio, ma non troppo, l’essenziale non è tanto capirsi, quanto viversi in serenità, seguendo la musica interiore che ognuno di noi ha dentro, adempiendo a quel dovere kantiano di essere liberi, senza fare male a nessuno. Certo ci vuole coraggio, un aforisma dice che “per essere felici ci vuole coraggio”. E Stefano di coraggio ne ha avuto molto, da quando ha deciso di indossare un finto kilt per la prima volta, la sua vita è cambiata dall’oggi all’oggi, domani è sempre un altro giorno. Ha perso gli amici (i finti amici come il finto kilt), ha perso il lavoro e ha dovuto lottare per mantenere unita la sua famiglia. “Gli uomini non si vestono, si coprono, portano il burka”.

Questo è un altro concetto fondamentale per capire Stefano. Credo che Stefano si riferisca a un burka sociale, a quello che si chiama “power look”, l’uomo deve portare la giacca e la cravatta, una camicia inamidata per una identità altrettanto inamidata, deve cucirsi addosso uno stereotipo culturale (nato con l’invenzione della macchina a vapore, per capire meglio questo passaggio vi consiglio di vedere il film ritratto che metterò dopo questo mio scritto), l’uomo in sostanza è vittima di un ruolo e di una pressione sociale che lo hanno deprivato nel corso dei “secoli del progresso” di tutte le sue ciprie, le sue parrucche e i suoi tacchi. L’uomo è diventato serio, lugubre, senza colori, senza libertà, ha iniziato a vestirsi a lutto, è diventato un uomo aziendale. Le parrucche sono rimaste nei tribunali inglesi agli avvocati, come una sorta di anacronismo mortuario.

Il punto è questo: per Stefano è diventato ormai anacronistico invece il vestirsi con giacca e cravatta, i tempi sono cambiati, nonostante i Vannacci di turno, viviamo nell’epoca genderfluid. Stefano è un punto di riferimento per chi non vuole sottomettersi alle logiche spietate del Potere, per scardinare il Potere non basta indossare un tubino e mettersi i tacchi a spillo, ma per l’uomo può rappresentare un “irragionevole” inizio. La donna è più libera, si sta emancipando da molti anni ormai, siamo noi uomini a essere ancora incriccati e ingessati in una dimensione che non ci appartiene più.

Non si tratta di vestirci tutti con abiti femminili, non è questo che vuole dirci Stefano, si tratta semplicemente di seguire la propria natura, infatti Stefano non si veste da donna, ma si veste da se stesso. Il suo è un inno alla libertà, ma non solo un inno, anche un progetto e ogni progetto ha qualcosa di eminentemente politico.

E qui si ritorna alla lotta, politica è anche polemos, vale a dire: guerra, lotta. Bisogna ancora lottare. Lottare per avere una vita “normale”, senza sentirsi gli occhi degli altri addosso quando si passeggia per strada. Lottare per avere una vita che rispecchi noi stessi. Lottare per non essere dei burattini sociali ma degli esseri umani, ognuno col proprio stile, in piena libertà kantiana.

Va detto che Stefano è stato aiutato dalla natura perché ha bellissime gambe e piedi perfetti, se io mi vestissi da donna sarei alquanto buffo, Stefano no, è tutto tranne che buffo, proprio perché è se stesso, ed essere se stessi non è in fondo la vera bellezza da perseguire, senza per questo essere perseguitati dallo stigma sociale? Amici, liberiamoci, che le strade del futuro siano lastricate di tacchi a spillo, dalla loro musica ritmica sul selciato, l’eterno è femminile per definizione, che la pace regni in questo mondo martoriato dalle guerre del Potere. Pensate, se tutti i soldati mettessero i tacchi a spillo, forse non ci sarebbero più guerre. Io inizio col rossetto. Mi è sempre piaciuto il rossetto, ho delle belle labbra e voglio valorizzarle.

Stefano, perdonami, i tacchi li metterò in un’altra vita, non fanno per me, ma lo so che tu perdoni, perdoni sempre, perdoni anche chi ti sbeffeggia, perché sei un uomo libero, sei buono e intelligente e ti invidio tanto, invidio la tua libertà e le tue gambe affusolate. E quel sorriso che ti è costato tanto, quel sorriso così coraggioso.