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72 ore a Marrakech, cosa fare e cosa vedere: dalla cena nel deserto ai Giardini Majorelle, la nostra guida per una vacanza tra profumi e colori

Sembra impossibile, ma è ancora una città autentica, a tre ore di volo dall'Italia. L'abbiamo visitata con una guida che la conosce bene, e seguita in musei, palazzi e locali che ci hanno incantato per la loro bellezza. La stessa che stregò Yves Saint Laurent durante la sua prima permanenza qui

Testo e Foto di Rita Bossi
72 ore a Marrakech, cosa fare e cosa vedere: dalla cena nel deserto ai Giardini Majorelle, la nostra guida per una vacanza tra profumi e colori

La prima cosa è il colore: Marrakech è rosa, ocra, rossa a seconda di come la luce, che qui è incandescente, la bacia. Subito dopo chiunque vi parlerà della grande place, la Djemma el-Fna, che qui chiamano “La place“. Per forza, ci arrivi e ti pare di entrare in un film di Fellini affollato di mangiatori di fuoco, incantatori di serpenti, cavadenti, maghi, musicisti gnaoua. E’ la piazza più autentica del mondo, lo certifica l’Unesco. Altre esperienze? Buttarsi senza paura tra gli infiniti negozi del suk, bere un tè alla menta mentre si contratta l’acquisto di una sciarpa, sentire il muezzin annunciare il tramonto e provare un inspiegabile senso di pace. Tutto questo e altro l’ho scoperto con Boscolo Tours operatore di lunghissima esperienza nel campo dei viaggi di gruppo organizzati, che mi ha accompagnato e mi ha fatto “conquistare” questo posto da fiaba. Da quando ho dormito al Nobu Hotel (iconico brand lifestyle, fondato da Nobu Matsuhisa, Robert De Niro e Meir Teper), un’oasi paradisiaca lontana dai ritmi frenetici della Medina, credo di sapere che cosa si provasse ad essere la moglie di un pacha: velluti, oro, mobili principeschi, zellij (i mosaici marocchini) ai soffitti, profumo d’incenso e vaniglia. Quello che ho sempre apprezzato dell’accoglienza marocchina sono le coccole e gli sfizi con cui sanno sempre sorprendere. Ogni cosa è curata nei dettagli, una volta varcato il portone si è avvolti da note fiori d’arancio. Al piano meno uno c’è la Pearl Spa, uno spazio benessere. È gigantesca: 2.000 metri quadrati dove rifugiarsi dopo un giro di shopping nel suk.

Ma torniamo al viaggio. Certo 72 ore in tutto a Marrakech non sono molte, ma abbastanza per rinfrescare la memoria e mettere qualche check mancante alla to-do list. Una visita con Fuad, la nostra fantastica guida, all’incantevole Madrasa Ben Youssef, raffinata espressione dell’architettura arabo-andalusa, allo sterminato e monumentale Palazzo Bahia, tra roseti, cortili ombreggiati e fontane su cui si aprono stanze con mosaici e piastrelle fino al soffitto, e poi pranzo Al Baraka, ristorante accogliente spirito marocchino. Andare a Marrakech significa anche ripercorrere le tracce di Yves Saint Laurent, di come lo stilista rivoluzionario della moda francese e il deserto siano legati indissolubilmente. Nel 1966, infatti, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, amico, amante, complice di vita e di lavoro, in Marocco trovarono “una casa di felicità e serenità”. Con un soggiorno a La Mamounia è nato l’amore per quello spaccato di mondo che sa di spezie e tè alla menta. Un rifugio, un’oasi dove scappare, dove riprendere a respirare, a Marrakech. E poi l’angolo di paradiso blu, i Giardini Majorelle, magica cornice di Villa Oasis, non solo casa ma laboratorio e “santuario”, dove lo spirito di Yves riposa…. Trasformato in un centro artistico aperto al pubblico, il Museo Yves Saint Laurent accoglie e nobilmente svela lo spirito di una storia che ha cambiato il destino della moda.

“Ho scoperto Marrakech molto tardi, è stato uno choc straordinario. Soprattutto per il colore. Questa città mi ha insegnato il colore. A ogni angolo si incontrano gruppi di persone, uomini e donne che indossano caftani rosa, blu, verdi, porpora. È sorprendente: sembrano disegnati, ricordano gli schizzi di Delacroix, mentre non sono altro che il frutto dell’improvvisazione della vita”.
(Yves Saint Laurent)

Al rientro in hotel, dopo un aperitivo (e non solo) con vista al tramonto, dalla pool terrace (questo spazio è dotato di ristorante e sushi bar), mi ha atteso un’autentica esperienza culinaria locale nel ristornate Dar Moha. Lo chef Moha è un vero ambasciatore della cucina marocchina a livello internazionale (è noto per aver partecipato come giudice a Masterchef Marocco). La serata è terminata in un locale modaiolo molto affollato. Dopo una nottata rigenerante e una colazione sotto la luce tiepida del mattino e in sottofondo il cinguettio degli uccellini, ci prepariamo per l’escursione in serata nel deserto di Agafay a circa 45 minuti dal centro di Marrakech. Ci lasciamo alle spalle la ‘città rossa’ mentre il centro abitato e i segni di presenza dell’uomo mano a mano lasciano posto solo alla natura, anch’essa sempre più rada. Fuori dal finestrino scorre un panorama sempre più omogeneo fino al delinearsi di forme sinuose e il bus inizia a ondulare come una nave: ci siamo, il deserto e le sue dune stanno prendendo forma. Ecco, siamo arrivati al The White Camel, un campo tendato super chic tra le dune di sabbia dorata. Qui la vista offre uno spettacolo estremo e selvaggio, il tempo si ferma e il silenzio è avvolgente.

Il deserto ogni volta mi inebria e mi regala sensazioni che a parole non so spiegare. Vivere questa esperienza è davvero magico. E’ offerto del tè freddo a bordo di una piscina idilliaca, mentre osservo il cielo che si tinge di viola fino a cangiare in un densissimo blu. La cena è servita in una tenda spaziosa e ben curata. All’aperto solo qualche luce di candela e un fuoco acceso. Intorno buio, immobile e silenzioso. Un silenzio che mi avvolge che mi dà pace e tranquillità. E’ pazzesco a quanto non sono abituata a vivere: lo trovo un regalo fantastico che mi concedo. Sotto un cielo stellato, ci gustiamo una cena preparata dai Tuareg che ci accolgono suonando il qanun, una specie di cetra trapezoidale, a 78 corde della tradizione classica araba. E’ tardi quando si rientra alla vita frenetica della città, tra luci e bagliori che ci vengono incontro.

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