Le immagini dei blindati che entrano in Plaza Murillo e che sfondano la porta del Palacio Quemado dove si trovava Luis Arce, attuale presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, hanno fatto il giro del mondo. Così come sono circolate nella stampa internazionale le immagini dell’autore di questo golpe non riuscito, il generale Juan José Zuñiga, arrestato mentre realizza una conferenza stampa improvvisata. In risposta all’azione di Zuñiga, Arce ha chiamato il popolo a sostegno della democrazia, nominando nuove cariche alla guida delle forze armate e ricevendo (almeno all’inizio) anche il sostegno di quello che ultimamente è il suo più grande avversario politico: l’ex presidente Evo Morales.
A pochi giorni però dai fatti del 26 di giugno si rincorrono le voci di un presunto “autogolpe” che Luis Arce avrebbe organizzato per rafforzare una posizione politica indebolita e logorata dalla crisi economica e dalle lotte intestine dentro il “vecchio” MAS (Movimento al Socialismo). Le telecamere hanno ripreso il “faccia a faccia” tra Arce e Zuñiga durante i convulsi attimi dell’assalto al Palacio Quemado, un momento nel quale si può ascoltare Arce pronunciare queste parole: “Non commetta questo errore generale, rispetti la democrazia! Vuole davvero entrare in questo modo, con i carri armati?”.
Lo stesso Zuñiga però durante il suo arresto avrebbe assicurato che nel fine settimana precedente si era incontrato con Luis Arce e che proprio il presidente gli aveva chiesto di prendere delle iniziative per aiutarlo a far salire il suo grado di popolarità, e solo per questa ragione avrebbe deciso di mobilizzare le truppe. Un racconto che non trova riscontro nella versione del governo boliviano, che nel frattempo ha ricevuto il sostegno e la solidarietà di vari presidenti latinoamericani (Brasile, Messico, Colombia, Paraguay, Honduras, Cile, Cuba, Venezuela, tra gli altri) e anche dal primo ministro spagnolo Pedro Sánchez. “Non sono un politico che guadagnerà popolarità con il sangue del popolo, al contrario, siamo venuti per rivendicare quel popolo boliviano che ha dato il suo sangue per recuperare la democrazia.”, queste le parole di Luis Arce in risposta alle accuse di aver orchestrato l’attacco al palazzo del governo.
La versione dell’autogolpe è però sostenuta dagli avversati politici di Arce, avversari che si trovano nella stessa sinistra e che fanno capo a Evo Morales. Un conflitto interno, quello tra la fazione di Arce (appoggiato dal vicepresidente David Choquehuanca) e quella di Evo Morales (presidente dal 2006 al 2019) che risale alla candidatura di Arce per le elezioni presidenziali del 2020. Dopo i fatti che portarono all’esplosione della polveriera politica boliviana nel novembre 2019 e all’effimero governo transitorio di Jeanine Áñez (in carcere dal 12 marzo 2021, attualmente nel Centro Penitenciario Femenino de Miraflores), Luis Arce fu indicato come successore di Morales, per continuare con le politiche del MAS. Una volta vinte le elezioni però, l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze (2006 – 2017) manifestò la sua intenzione di governare indipendentemente dal suo mentore, appartando Morales dalla vita politica e dal centro di potere del paese sudamericano.
Il MAS è stato fin dal momento della sua creazione un partito personalista (Evo Morales è rimasto alla presidenza 14 anni) e lo scisma interno provocato dalle posizioni di Arce ha creato una lotta intestina tra due fazioni che si disputano gli spazi di potere in vista delle prossime elezioni presidenziali, previste per agosto 2025. Arce sta proiettando una possibile rielezione ma la fazione di Morales sta facendo tutto il possibile per attaccare la sua immagine, questionare le sue scelte e farne diminuire il consenso. Dentro questo contesto dobbiamo leggere le posizioni della fazione di Morales che denunciando un autogolpe architettato da Luis Arce vuole attaccarne l’immagine e la credibilità.
In questi primi momenti che seguono i fatti del 26 giugno, sembra effettivamente che la popolarità di Arce sia in crescita, in un’onda di coesione e appoggio dei movimenti sociali (a volte critici con il presidente negli ultimi mesi) che hanno fatto cerchio intorno alla sua figura, contro l’ombra di un nuovo periodo convulso (e violento) come quello vissuto nel 2019. I giochi però sono tutt’altro che decisi e agosto 2025 è ancora molto lontano.