Crime

“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state sacrificate dai Servizi Segreti”: così il giudice Martella in commissione d’inchiesta. E spunta la pista di Bolzano

Pochi giorni fa, sono stati convocati Adele Rando e Ilario Martella. La Rando è stata giudice istruttore della prima inchiesta sulle due sparizioni dal 1990 al 1997 e ha chiesto di secretare la sua audizione. Martella, invece, è stato titolare delle indagini ancora prima, dal 1985 al 1990

di Alessandra De Vita
“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state sacrificate dai Servizi Segreti”: così il giudice Martella in commissione d’inchiesta. E spunta la pista di Bolzano

La commissione bicamerale di inchiesta che indaga sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, scomparse entrambe nel cuore di Roma nel 1983, ha dato la parola ai giudici. Pochi giorni fa, sono stati convocati Adele Rando e Ilario Martella. La Rando è stata giudice istruttore della prima inchiesta sulle due sparizioni dal 1990 al 1997, ma lei stessa ha chiesto di secretare l’intervento lasciando l’intera scena al suo collega. Martella, invece, è stato titolare delle indagini ancora prima, dal 1985 al 1990. Precisamente l’11 marzo del 1985 fu avocata a Martella l’inchiesta Orlandi, che era stata seguita fino ad allora da Domenico Sica. Martella aveva diretto e portato a termine l’indagine sulla pista bulgara dell’attentato a papa Giovanni Paolo II, nel 1981, di cui fu accusato e condannato l’ex terrorista turco Alì Agca.

Le dichiarazioni di Martella e la pista bulgara
Il giudice istruttore ha esordito davanti alla commissione, lo scorso 27 giugno, con una premessa: “L’antefatto delle due sparizioni è rappresentato dall’attentato al Papa, compiuto nell’81, che portò subito alla condanna di Ali Agca all’ergastolo, che non presentò ricorso”. Martella ha affermato senza esitazione: “Le due ragazze furono sacrificate a qualcosa di incredibile, che si può definire ragione di Stato. Ci si trova innanzi, come ebbe a dire Giovanni Paolo II quando andò a casa Orlandi in occasione del Natale 1983, a un intrigo internazionale” (fonte: Il Corriere Roma). Ma perché le due 15enni furono rapite? Secondo Martella, “Si trattò di un’operazione di distrazione di massa ideata e compiuta dalla Stasi (i servizi segreti della Germania dell’Est, ndr) per evitare che la Bulgaria e tutto il mondo dell’Est venissero coinvolte nell’attentato al Papa, dopo che Alì Agca, interrogato da me, aveva iniziato ad accusare tre funzionari bulgari. L’attentato del papa per me è un punto di partenza – ha ribadito Martella –, sin dal 1982 la Bulgaria era molto preoccupata di poter essere coinvolta nell’attentato al Papa”. Lo stesso Alì Agca, nelle ultime settimane, è tornato a parlare in un videomessaggio chiedendo di poter essere ricevuto dalla commissione che ha già rifiutato in precedenza la sua richiesta.

Il legame con Mirella Gregori
Secondo Martella “serviva qualcosa che potesse determinare una disattenzione totale, una sorta distrazione di massa. E chi poteva porre in essere una simile operazione? – ha continuato Martella – Non era certo una cosa di bassa manovalanza tipo la banda della Magliana ma serviva che le cose venissero fatte con altissima qualità professionale da un’organizzazione quale era la Stasi all’epoca. Questa operazione di distrazione di massa doveva fare in modo di creare episodi su cui attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica“. Ilario Martella rinsalda l’ipotesi che le due scomparse, quelle di Mirella, avvenuta il 7 maggio e l’altra di Emanuela che svanì nel nulla il 22 giugno, fossero collegate tra loro. “Prima provarono con Mirella, ma siccome, come scrissero in un comunicato, le richieste avanzate sottotraccia non erano state “riferite alle gerarchie”, decisero di salire di livello”. Secondo il giudice Martella, “Le ragazze sono state sacrificate, uccise non subito, ma magari dopo un po’. Tenerle in vita sarebbe stato pericoloso perché avrebbero potuto essere dei testimoni fondamentali”.

Le minacce alla figlia
Insieme al giudice è stata convocata a testimoniare dalla commissione anche sua figlia Annalisa, per delle minacce ricevute in merito al lavoro del padre. Di questo ha parlato anche il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, lo scorso 22 giugno in occasione dell’anniversario della scomparsa di sua sorella, dichiarando pubblicamente che le intimidazioni sarebbero arrivate mentre la Martella viveva a Londra. Secondo Pietro, questo episodio potrebbe rappresentare un collegamento con la pista inglese che prevede che Emanuela sia stata tenuta in prigionia per diversi anni in un convitto di Londra, come emerso da presunta corrispondenza fra i sacerdoti di Canterbury e il cardinale Ugo Poletti e da una foto consegnata a Pietro da un ambiguo personaggio in cui si vede chiaramente una collanina appartenuta a Emanuela.

Le indagini di Martella
Tra le azioni più significative di Martella, durante le indagini, ci fu la perquisizione ordinata ai Carabinieri, nel maggio del 1985, al domicilio del Capitano dell’Esercito Italiano Rudolf Teuffenbach a Merano. Vennero perquisiti anche i suoi uffici, presso la sede dei servizi segreti di Roma e anche una sua cassetta di sicurezza (fonte: blog ufficiale di Emanuela Orlandi a cura dei familiari). Fu perquisita anche un’altra sua abitazione di Ladispoli. Vennero sequestrati fogli e documenti, una agenda, dei biglietti ferroviari per la tratta Roma-Bolzano e un libro dal titolo Der Vatikan durchs Schlüsselloch betrachtet (Il vaticano visto attraverso il buco della serratura). Ma perché il giudice ordinò queste perquisizioni e chi era Rudolf Teuffenbach?

La pista di Bolzano
Una signora, tale Hofer Josephine Spitaler, nel febbraio del 1985 telefonò ai Carabinieri di Terlano (Bolzano) per riportare quanto da lei visto il 15 agosto di due anni prima, nel 1983. Iniziò ufficialmente, quella che verrà chiamata in seguito, la pista di Bolzano. Il 25 febbraio, i militari del Reparto Operativo di Roma si recarono in Trentino Alto Adige per prendere contatti con la donna che secondo i Carabinieri, risultò attendibile, persona stimata e “assolutamente raziocinante”. Lei stessa chiese di mantenere l’anonimato.

Il 4 marzo la signora Hofer Josephine fece mettere a verbale che il giorno di ferragosto del 1983, nella casa di campagna dove abitava, verso le 12 aveva visto un’auto A112 targata Roma di colore blu-nero con a bordo un uomo che trasportava una ragazza di circa 14/16 anni molto stanca. La ragazza aveva le seguenti caratteristiche fisiche: altezza 1,60, forme non pronunciate, magra, capelli castano scuri, quasi neri, lunghi, lisci, molto sporchi. La stessa giovane vestiva nel seguente modo: camicetta a maniche lunghe colo verde posta al di fuori della cinta, blue jeans, scarpette in tela color beige, portava un girocollo in materiale non metallico dai colori molto sbiaditi ma che mi sembra ricordare verde-grigio. L’uomo che accompagnava la ragazza, che so essere un buon conoscitore dei coniugi Springorum, che abitano al piano sottostante al mio, […] appena giunto ha accompagnato la ragazza, sostenendola per un braccio all’interno dell’abitazione, dicendole in lingua italiana: “Non puoi parlare con nessuno perché sono tutti tedeschi”. La donna dichiarò anche che dopo tre giorni, nel casale in cui abitava, si presentò un personaggio in uniforme presumibilmente austriaca o tedesca di circa 35 anni, molto alto a bordo di una BMW verde metallizzata di cui riportò anche la targa. Parlando con gli Springorum, l’ufficiale disse che il giorno dopo la ragazza sarebbe stata prelevata da un altro individuo proveniente dalla Germania. Alcune ore più tardi, dopo essersi intrattenuto […] l’uomo lasciò l’abitazione. Il giorno successivo, 19 agosto 1983, la donna vide giungere nel casale una Peugeot con a bordo tale Teuffenbach Rudolf, fratello della moglie del signor Springorum, accompagnato dalla propria consorte. Alle 13,15 dello stesso giorno ho visto il Teuffenbach, sua moglie ed un’altra donna bionda di circa 35 anni, uscire dall’abitazione degli Springorum con la ragazza di quattro giorni prima che veniva caricata sulla Peugeot. In tale circostanza la ragazza, nello stesso stato psico-fisico ma leggermente più reattiva, vestiva gli stessi abiti con l’aggiunta di una fascetta sulla fronte, del tipo indiano. Durante tale circostanza ho notato che la ragazza tentava di rivolgermi la parola senza riuscirci in quanto la donna bionda, da me mai vista prima, le spostava il capo in maniera brusca, quasi da volerle impedire un contatto visivo con altri. Da quel momento in poi non ho più visto quella ragazza.

Al termine della verbalizzazione alla signora Hofer vennero fatte vedere delle foto in cui riconobbe la ragazza vista nel suo casale il 15 agosto. Le due fotografie erano di Emanuela Orlandi. Sempre nell’agosto del 1983, la signora Giovanna Blum, una insegnante di musica del conservatorio di Bolzano, dichiarò agli inquirenti che ricevette una telefonata da parte di una ragazza che asseriva di essere Emanuela Orlandi e di trovarsi a Bolzano, chiedendole di avvertire la polizia. La donna disse che telefonò subito al 113 dicendo quello che era accaduto, ma appena riattaccato il telefono ricevette un’altra telefonata in cui una voce maschile le disse: “Lei dimentichi quello che ha sentito ha capito” con tono piuttosto minaccioso. La donna disse che anche la Polizia le telefonò avvertendola di non aprire a nessuno. La pista trentina cadde nel vuoto come tante altre ma restano i dubbi sul fatto che Emanuela sia davvero passata per Bolzano in quei giorni. Ma questa è solo una delle tante intricate ipotesi che avvolgono questo mistero impenetrabile d’Italia su cui si spera la commissione farà luce.

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