“Evitare la catastrofe”, “fare le barricate, “scongiurare il peggio”. Di fronte all’onda dell’estrema destra che, come da previsioni, ha travolto anche le elezioni legislative in Francia, la sinistra si è presentata ai microfoni e ha usato parole drammatiche per chiedere la rinascita del blocco repubblicano. L’appello è chiaro: al secondo turno, là dove ci sono più di due candidati, si facciano indietro tutti coloro che sono arrivati terzi (o quarti) e sostengano gli avversari del Rassemblement National. A qualsiasi costo. La memoria va a una data ben precisa: era il 21 aprile 2002 e Jean-Marie, il papà di Marine Le Pen, arrivò a sorpresa al ballottaggio e la reazione di massa del Paese fece rieleggere Jacques Chirac con l’80 per cento dei voti. Erano solo (o ben) 22 anni fa. Poi, il grido di allarme c’è stato anche per i ballottaggi del 2017 e del 2022, tutti vinti da Emmanuel Macron contro Marine Le Pen e anche grazie ai voti di tanti che lo hanno scelto “tappandosi il naso”. Ora, però, che il RN può sognare la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea nazionale, il cosiddetto asse repubblicano è tutt’altro che compatto. Così mentre il Nuovo fronte popolare della sinistra si è detto pronto a ritirare i candidati di troppo, il vero sconfitto Macron ha prima invocato l’unità e poi confermato che non sarà con tutti. “Valuteremo caso per caso”, è il messaggio fatto diffondere dalle tv nella notte. Ovvero, il presidente dell’Eliseo che si è lanciato nel vuoto sciogliendo il Parlamento, vuole un blocco sì, ma alle sue condizioni. La battaglia delle alleanze e dei ritiri è iniziata pochi minuti dopo i primi exit poll e ogni tentennamento è un favore per il leader del RN Jordan Bardella.
Perché le alleanze sono decisive – Per le legislative si vota con il sistema maggioritario a doppio turno e in collegi uninominali. Questo significa che sono stati eletti al primo colpo solo i candidati che hanno ottenuto il 50% più uno dei consensi (a patto che corrispondano al 25% degli iscritti alle liste). Se nessuno ha superato la soglia, vanno al secondo turno i primi due e tutti coloro che hanno preso più del 12,5% dei voti. Vista l’affluenza record (quasi al 70 per cento), sono cresciuti i casi di triangolari. Ed è proprio su questi che gli occhi sono puntati: chi non ha speranze di vincere, può ritirarsi dando indicazioni di voto e influenzando di fatto la vittoria finale. Secondo le ultime stime, sono tra i 65 e gli 85 i deputati eletti al primo turno. Restano invece tra i 285 e i 315 triangolari e da 150 a 170 duelli. Per avere la maggioranza assoluta servono 289 seggi e al RN le previsioni dell’istituto Elabe assegnano tra i 255 e i 290 seggi. Per questo, ogni sfida può essere determinante.
L’ambiguità di Macron – Il presidente della Repubblica, di solito amante delle prese di parola pubbliche nei momenti più difficili, non si è fatto vedere. Ma ha deciso di diffondere due dichiarazioni ufficiali che dovrebbero, in qualche modo, interpretate i prossimi passi. Prima ha invocato “l’unità”, poi ha specificato che sugli apparentamenti si valuteranno le singole sfide. Del resto, proprio Macron ha fatto tutta la campagna elettorale stigmatizzando quella che chiama “estrema sinistra” e ammiccando all’estrema destra. Molto difficile pensare che ora torni sui suoi passi pur di tenere lontana Marine Le Pen dal potere. “Si valuteranno anche gli accordi con la France Insoumise” di Jean-Luc Mélenchon, ha assicurato la velina dell’Eliseo. Una risposta a chi ha accusato il suo partito di portare avanti la strategia del “né né”, già figlia delle scorse elezioni legislative quando non vennero date indicazioni di voto per i ballottaggi. Tutta la teoria però, si scontrerà con la pratica e con tensioni locali esacerbate da una campagna elettorale lampo e da uno scontento nei confronti del presidente ai massimi storici. Le dispute si giocano su sfumature destinate a essere decisive. Un esempio? Nella notte, la portavoce dei giovani di Macron Albane Branlant si è ritirata dalla corsa dopo essere arrivata terza nella circoscrizione della Somme: “So distinguere tra i nemici della Repubblica e gli avversari”, ha detto. Non una parola però, ha pronunciato per François Ruffin, il candidato della sinistra che sfiderà il RN: “Mi accontento”, ha replicato. “Anche se avrei preferito parole più nette”. Dal campo presidenziale evidentemente, non si potrà aspettare di ricevere molto di più.
La partita della sinistra unita – Sull’altro fronte, quello della sinistra unita, la partita è molto delicata. Forze diverse e con leadership non proprio in accordo si sono unite nel nome di una sfida comune, ma non è dato di sapere se sapranno resistere alle spaccature interne. Il primo a prendere la parola, facendo innervosire non pochi, è stato Jean-Luc Mélenchon che ha dato sì per certi i ritiri nelle circoscrizioni dove sono arrivati terzi, ma ha anche attaccato direttamente Macron. Segno che di accordi con Ensemble ce ne saranno ben pochi. Ben diverse le parole dei Socialisti, altri osservati speciali nelle prossime ore: sono considerati l’anello più moderato della squadra e i primi che potrebbero sganciarsi se ci fossero offerte di governi tecnici o affini. Per loro ha parlato François Hollande, ex presidente che si è messo in gioco nella circoscrizione della Correze: è arrivato in testa, ma sulla carta dovrebbe affrontare un triangolare. A meno che arrivi un segnale da Macron e dai suoi. “Faccio un appello“, ha detto, “all’unione più ampia possibile” contro il Rassemblement National, “quali che siano le decisioni che prenderanno gli stati maggiori dei partiti”. E chi vuol capire capisca. Ha parlato in modo molto simile Raphael Glucksmann, eurodeputato che ha guidato il Ps alle Europee: “Quello che ci prepariamo a fare è un vero e proprio referendum”, ha detto in diretta su Bfmtv. “Volete un governo di Jordan Bardella, sì o no?”. Per questo, ha aggiunto, “abbiamo sette giorni per evitare alla Francia una catastrofe”. Per ora, tutti uniti.
Chi se ne frega e lo ha già detto – Intanto, mentre Macron e la sinistra iniziano trattative delicatissime (o almeno ci provano), c’è chi si è già tirato fuori. Innanzitutto i Repubblicani: dopo lo psicodramma del leader Eric Ciotti che ha stretto alleanze con l’estrema destra (lui stesso è in vantaggio nella circoscrizione delle Alpi marittime, ma deve andare al secondo turno), il partito ha preso un 10% che però non intende usare per aiutare nessuno. O se proprio proprio, il rischio è che a livello locale ci scappino altri apparentamenti con Le Pen. Di sicuro mai a vantaggio della sinistra. Discorso simile per Edouard Philippe, ex premier e leader di uno dei partiti dell’ex maggioranza presidenziale che ha invitato i suoi militanti “a fare desistenza per evitare l’elezione di candidati RN o LFI, La France Insoumise”. Non proprio un buon inizio per il fronte reppubblicano che, ogni minuto che passa, rischia di perdere pezzi. I tempi sono cambiati: gli appelli alle barricate ci sono, sono sentiti, ma la Francia non è mai stata così divisa.