Cultura

La Biennale Teatro 2024 si chiude tra applausi e interrogativi. Il Leone d’oro va a Back to Back Theatre

Il Presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco, mantiene il riserbo sul successore di Ricci e Forte, mentre si moltiplicano le ipotesi e i nomi

di Paolo Martini
La Biennale Teatro 2024 si chiude tra applausi e interrogativi. Il Leone d’oro va a Back to Back Theatre

L’ultimo flash, sulla scena finale della Biennale Teatro 2024, mostra una cinquantina di addetti ai lavori mescolati insieme, attori, autori, direttori e tecnici, che ballano rilassati e sereni nel cortile del ristorante Alle Bombarde dell’Arsenale di Venezia, dopo la cena a buffet, sotto a una splendida mezzanotte stellata. Soltanto uno o due, sottovoce, parlano del futuro: chi sarà scelto per organizzare i prossimi festival nessuno riesce a immaginarlo con certezza. In fondo il giro di boa politico per ora non c’è stato, del resto le prime Biennali dopo l’insediamento del nuovo governo di Giorgia Meloni, erano ancora solidamente nelle mani di curatori già in carica. A uno addirittura, Alessandro Barbera per il cinema, è stato subito prorogato il mandato.

Il nuovo Presidente della prestigiosa istituzione culturale, Pietrangelo Buttafuoco, non lascia trapelare nulla ma non manca chi assicura con fiducia che ‘mirerà molto in alto’. Tutti lo sperano. Del resto, bastava studiare il comportamento del brillante scrittore siciliano così caro a ‘detta Giorgia’, anche solo alla cerimonia solenne di consegna del Leone d’Oro (andato alla strepitosa compagnia australiana di attori diversamente abili Back to Back Theatre). Sempre gentile e signorile con tutti, peraltro, ha fatto persino la buona azione quotidiana come un boy-scout, prestandosi ad accompagnare sul palco qualche premiato con handicap motori gravi.
E’ stata la cerimonia più buffa e commovente, forse, della storia della Biennale Teatro: gli insoliti attori di Geelong-Victoria rispondevano alle domande con un parola sillabata ogni trenta secondi, ed era tutto un ‘ah’, ‘and…’, ‘ehm’, ‘yeah’, nemmeno Beckett degli anni d’oro avrebbe fatto di meglio. Uno, addirittura, ha detto di aver notato come la diversità nel nostro Paese sia bene accetta: ‘in Italia siete molto progressisti’, testuale. Non ha battuto ciglio nessuno dalle prima fila degli invitati istituzionali, Presidente, Assessori, Onorevoli e Ufficialoni dei Carabinieri e della Marina in divisa d’onore. Il tema scelto da Stefano Ricci e Gianni Forte per l’ultima loro biennale da curatori è stato ’Niger et Albus’. Ricci, sempre elegantone up to date, s’è presentato alla cerimonia in nerissima T-Shirt con giacca bianca, ma poteva invertire i colori dei capi: del resto, tra numerosi spettacoli di livello in programma, si sono visti alcuni bellissimi lavori soprattutto sulle gradazioni più forti del nero.

Notevole è stato il clou del Carbon black scelto da Back to Back Theatre per ‘Food Court’ – dove in due compiono un crudele delittaccio per un nonnulla, alla faccia del pietismo nei confronti dei portatori di handicap – e del Nero fumo che connotava l’ultima inquietante e insieme meravigliosa creazione di Milo Rau, ‘Medea’s Children’, con attori bambini che a un certo punto addirittura ripetono un feroce pluri-infanticidio della cronaca belga del 2007. Ha sfoggiato un anonimo abito nero in una scena buia con addosso una maschera-visore altrettanto nera-nera, l’applauditissimo aut-attore british Tim Crouch, alle prese con una riproposta cult dell’atto terzo di Re Lear, apologo di gran classe contro la frontiera della realtà virtuale e commovente, imprescindibile ‘memento mori’ post-shakespeariano.

Ci sono state due notevoli parentesi arcobaleno, con spettacoli ‘queer’ divertenti-intelligenti, la tragicommedia ‘Elektra Unbound’ di Luanda Casella, e il provocatorio musical ‘Phobia’, dello svedese Markus Öhrn con il polacco Karol Radziszewski. E sono piaciuti molto, anche agli appassionati stranieri, due titoli ripescati dalla rassegna Fog di Triennale Teatro di Milano, un visionario ‘Tre Sorelle’ di Muta Imago, compagnia italiana-internazionale, e il singolare ‘Blind Runner’ dell’iraniano Amir Reza Koohestani, che racconta la fuga di due clandestini nel tunnel della Manica.

Si è visto qualche volta in sala a Venezia proprio anche il direttore di Triennale Teatro, Umberto Angelini: per capacità e indipendenza politica, a logica potrebbe essere benissimo tra i candidati per il futuro. E, sempre stando ai soli italiani, ci sono pure ancora quei pochissimi autori e registi di peso internazionale tenuti ai margini dalla solita ‘cricca’, un nome per tutti Alessandro Serra. Oppure, perché no, Buttafuoco potrebbe addirittura puntare su qualcuno dei giovani battitori liberi promettenti, all’NTGent per il dopo Milo Rau ne hanno messi insieme tre diversi.

Del resto, nessuno dei teatranti simpatizzanti della destra al potere sembra avere il profilo per costruire una rassegna d’alto livello. Ma le chiacchiere stanno a zero. A breve si ricomincia con la nuova invitante Biennale Danza, l’ultima del coreografo Wayne McGregor. E anche qui scatta l’ansia per il dopo. Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha appena nominato Eleonora Abbagnato alla carica di Presidente del Consiglio Superiore dello Spettacolo, e non pochi, in Biennale e anche alla Scala, hanno tirato un sospiro di sollievo…

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