di Gianluigi Perrone*

La stampa cinese è stata moderatamente abbottonata riguardo alla visita di Putin in Corea del Nord. La Cina vive la propria relazione con “Bad Korea” con un mix di sufficienza e imbarazzo. Ne sopporta la necessità strategica ma guarda ad essa come a un passato al quale non vorrebbe mai tornare. Durante la mia prima visita a Pyongyang, nel 2014, alcuni cinesi sussurravano, davanti alla sorpresa degli ospiti di osservare una società realmente “orwelliana”, che anche la Cina era così negli anni ’60. Durante la mia seconda visita, nel 2018, l’allora presidente sudcoreano, Moon Jae-in, visitò Pyongyang in uno storico summit di riconciliazione con Kim Jong-Un. Le guide locali non temevano di mostrare il proprio entusiasmo nell’eventualità concreta che le due Coree tornassero unite, formando la più grande potenza d’Asia, a loro opinione.

Quindi Pyongyang e Pechino non si piacciono ma devono tollerarsi, perché sono molto vicine – talmente tanto che Xi Jinping raggiunse Pyongyang in treno quando dovette calmare le tensioni con Donald Trump. Nel mio nuovo canale dedicato alla geopolitica cinese, Genda Giada, rifletto sull’evidenza che Pechino non alzi i calici nel guardare Putin brindare insieme a Kim Jong-Un.

Russia e Corea del Nord si sono promesse mutuo supporto in caso di attacco su uno dei propri territori. Va da sé che è una mossa di Putin per controattaccare alle provocazioni della Nato. La volontà di dare a Zelensky mezzi e permessi per colpire direttamente sul territorio russo è una chiara intenzione di superare quella linea rossa che spinga Putin a rispondere pesantemente, allargando il conflitto, e permettendo alla Nato di avere la scusa per intervenire direttamente. Una pantomima che francamente ha stancato. Con l’accordo con la Corea del Nord, Putin si assicura che se Kiev o la Nato attaccheranno il territorio russo, la risposta verrà da Pyongyang, anche nuclearmente, così pericolosamente vicina al confine con Pechino, il cuore del potere del Partito Comunista, mettendo in stato di allarme rosso Xi Jinping, e anche noi che a Pechino ci viviamo.

Dall’altra sponda del Mar Cinese Meridionale le cose vanno ancora peggio per Pechino. Nelle ultime settimane le tensioni con le Filippine sono cresciute esponenzialmente, a detta delle agenzie stampa cinesi inasprite da ingerenze statunitensi. Rispetto agli eccidi ai quali la cronaca di guerra ci abitua, le scaramucce tra pescherecci adibiti a navi di contrabbando di armi, che hanno visto scontrare cinesi e filippini, possono sembrare poca cosa. In realtà possono risultare come la chiave per quel casus belli che gli Usa sembrano cercare contro la Cina.

Manila e Pechino si abbaiano accuse a vicenda, consapevoli che esiste un antico accordo di intervento degli Stati Uniti in caso di attacco sul territorio filippino. Washington è però impegnata direttamente su più fronti ed elezioni, e qui viene la mossa che potrebbe alzare le tensioni fino alle linee rosse del Mar Cinese Meridionale. L’8 luglio si terrà un summit per firmare un Reciprocal Access Agreement tra Filippine e Giappone. Lo storico nemico della Cina si impegnerà a difendere le Filippine in caso di attacco, decretando la possibilità di una pesante militarizzazione del Mar Cinese Meridionale. Se teniamo in considerazione anche che le elezioni europee hanno visto un considerevole indebolimento di due “amici” di Xi Jinping come Macron e Scholz, si può affermare a ragione che la Cina diventa sempre più isolata.

*CEO Polyhedron VR Studio

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