Battutto nelle urne dal Paese che ormai da tempo non capisce più, mollato da quello che resta del suo partito. Sono le ore più difficili per Emmanuel Macron: ha giocato d’azzardo sciogliendo l’Assemblea nazionale, gli elettori hanno risposto con uno schiaffo. Il capo dell’Eliseo era certo che, messi alle strette, gli elettori avrebbero scelto il campo presidenziale. Così non è stato e adesso ha sei giorni per mettere in campo una nuova strategia, mentre il Paese lo osserva con il fiato sospeso. La mossa che da ieri sera, subito dopo la chiusura delle urne, ha deciso di fare è stata quella di invocare l’unità repubblicana. Ovvero chiedere di formare un blocco perché tutti i partiti si uniscano contro l’estrema destra. Peccato che, proprio lui, fino a due giorni fa ha fatto una campagna elettorale che metteva sullo stesso piano Marine Le Pen e la sinistra di Jean-Luc Mélenchon. E, soprattutto, finché non impone il ritiro di tutti i candidati di Ensemble arrivati terzi e che possono favorire il RN, le parole contano poco. Ma prima ancora di capire se gli elettori lo seguiranno, il problema per Macron è che neanche il suo partito (o quel che ne resta) ha intenzione di seguirlo ciecamente.

Il capo dell’Eliseo ancora non si è fatto vedere dopo il risultato del primo turno, ma ha convocato il governo intorno alle 14 per, ufficialmente, comunicare la strategia. Stando a quanto raccontato da alcuni presenti a Bfmtv, è stato un incontro molto teso. Ma anche “inutile”, di fronte a un leader che si è presentato come “un maestro di classe”. Il messaggio di Macron è stato una conferma: a porte chiuse ai suoi ministri ha detto che “non bisogna sbagliarsi”. Oggi è “l’estrema destra ad essere sul punto di accedere alle più alte funzioni, nessun altro“, ha detto. Solo ieri sera però, lo stesso presidente della Repubblica aveva lasciato intendere che le alleanze “andavano cercate collegio per collegio” e valutate. Ovvero non sempre e non per forza avrebber dovuto sostenere il candidato de la France Insoumise. Proprio questa ambiguità, la strategia del “né né” che Macron ha portato avanti anche alle scorse legislative, ora gli viene rinfacciata dagli avversari. E rivendicata da parte del partito.

Una delle scene più significative è andata in onda in mattinata. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire , intervenendo su France Inter, ha escluso di sostenere il voto per un candidato della France Insoumise anche dove sia l’unica opzione realistica per fermare un candidato di RN. “La France Insoumise è un pericolo per la nazione”, ha dichiarato. Di fronte a lui c’era la segretaria del partito dei Verdi, Marine Tondelier che ha risposto quasi in lacrime: “Questo è un comportamento vile e privilegiato”, ha ribattuto.

Ma Le Maire non è il solo. Per il presidente di MoDem, François Bayrou, “molti francesi sarebbero assolutamente disperati nel ritrovarsi di fronte alla scelta tra RN e La France Insoumise”. Per lui serve “un grande” blocco “chiaramente democratico e repubblicano”. Quindi confermando che, di fatto, il blocco repubblicano non sarà sempre e ovunque compatto. Non a caso, ha già deciso di non fare un passo indietro la candidata di Ensemble Sylvie Casenave-Péré, arrivata terza dietro alla sorella di Marine Le Pen, Marie-Caroline (Rn) e al Nouveau Front Populaire nella quarta circoscrizione di La Sarthe. E non è la sola. Non si ritirerà neanche Francis Dubois, deputato uscente in Corrèze: è arrivato dietro al socialista François Hollande e alla candidata RN, ma resta in corsa e, così facendo, darà una mano all’estrema destra. Ma i casi sono tanti e crescono di ora in ora. Ha fatto la stessa scelta, ad esempio, Loïc Signor (Ensemble) in Val-de-Marne, semplicemente sostenendo di avere l’appoggio del primo ministro Gabriel Attal.

Chi si è tirato indietro, sono anche alleati o ex alleati del partito di Macron. Per l’ex premier Edouard Philippe, leader di Horizons ed ex membro del campo presidenziale, “nessun voto dovrebbe andare ai candidati di RN, né a quelli de La France Insoumise, con i quali divergiamo non solo sui programmi ma sui valori fondamentali”. Non è neanche questione di dibattito per i Repubblicani che, forti del loro 10 per cento arrivato nonostante il tradimento e la scissione di Eric Ciotti, hanno già annunciato che non daranno indicazioni di voto. Insomma, chi cerca uno slancio repubblicano compatto per fermare l’avanzata dell’estrema destra, potrebbe restare molto deluso.

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