I ministeri dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno inviato alla Commissione europea il testo definitivo del Piano Nazionale integrato Energia e Clima (Pniec), il documento che dovrebbe tradurre gli impegni nazionali verso l’obiettivo dell’Accordo di Parigi in politiche e azioni concrete. Lo annunciano i due ministeri in un comunicato, citando alcuni degli obiettivi previsti dal documento, in particolare su nucleare e rinnovabili. Si ribadisce, infatti, che l’Italia dovrà raggiungere al 2030 una potenza da fonte rinnovabile di 131 gigawatt e, come aveva già annunciato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il governo prevede che il nucleare da fissione e, nel lungo termine, da fusione potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta. Di fatto, però, solo con la pubblicazione della bozza integrale – che dovrebbe avvenire nelle prossime ore – sarà possibile capire se e come l’Italia ha seguito le raccomandazione della Commissione Ue. Il 18 dicembre 2023, infatti, Bruxelles aveva pubblicato la propria valutazione complessiva dei Piani Nazionali Integrati Energia e Clima (Pniec), con cui i Paesi dell’Unione traducono gli impegni nazionali verso l’obiettivo dell’Accordo di Parigi in politiche e azioni concrete. Ritenendo i piani nazionali insufficienti nell’ottica di raggiungere gli obiettivi climatici, aveva inviato una serie di raccomandazioni di cui i Paesi (Italia compresa) avrebbero dovuto tenere conto nell’aggiornamento dei propri Pniec, da inviare a Bruxelles entro giugno 2024.
L’annuncio del ministro Pichetto Fratin – “Oggi il nostro Paese si dota di uno strumento programmatorio che traccia con grande pragmatismo la nostra strada energetica e climatica, superando approcci velleitari del passato” spiega il ministro Pichetto, secondo cui il Pniec appena inviato a Bruxelles è un piano “condiviso con i protagonisti della transizione, che non nasconde i passi ancora necessari per colmare alcuni gap, ma si concentra sulle grandi opportunità derivanti dallo sviluppo di tutte le fonti, senza preclusioni”. E cita, in particolare, lo scenario sull’energia nucleare, “sia da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) che da fusione (a ridosso del 2050), che ci fa guardare avanti a un futuro possibile”. Non si è fatto attendere il commento degli addetti ai lavori, con il think tank per il clima Ecco che ha tecnicamente sospeso il giudizio: “Difficile valutare la versione finale del PNIEC senza aver visto il testo finale consegnato a Bruxelles – ha detto al Fatto.it Matteo Leonardi, di rettore e cofondatore – Dal comunicato stampa del MASE si comprende però la volontà di attribuire un ruolo maggiore al nucleare nel mix elettrico. Un ruolo – ha sottolineato – che però è del tutto marginale nell’affrontare la questione della dipendenza dalle fossili e degli alti costi dell’energia per il sistema industriale italiano. L’obiettivo rinnovabili conferma quello della proposta – ha concluso – ma dal quadro normativo degli ultimi mesi non è chiaro come si intenda raggiungerlo. Dall’elenco delle soluzioni e tecnologie indicate non emerge una chiara scala di priorità né rispetto agli effetti di riduzione delle emissioni né rispetto alle ricadute sociali e occupazionali per il Paese”.
Perché i piani europei erano ‘insufficienti’ – Ma cosa non andava nei piani già presentati dai Paesi membri? Secondo Bruxelles, i piani proposti dagli Stati al 2023 non prevedevano una riduzione adeguata di emissioni climalteranti (così come erano, avrebbero portato a un taglio del 51% invece che di almeno il 55% entro il 2030). Avrebbero poi portato nel mix energetico una quota di rinnovabile non superiore al 39% entro il 2030, mentre l’ultima direttiva approvata sulle rinnovabili, la Red III, fissava un target del 42,5%. Bruxelles, poi, aveva ritenuto insufficienti anche gli obiettivi sull’efficienza energetica, con miglioramenti previsti del 5,8%, 6 punti percentuali in meno rispetto al target dell’11,7%. Per quanto riguarda l’Italia, il Piano mancava gli obiettivi di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni, mentre quelli di penetrazione delle rinnovabili del sistema elettrico ancora non erano allineati rispetto ai target G7 di sostanziale decarbonizzazione del sistema elettrico al 2035. Più severo il giudizio di Bruxelles su addio alle fonti fossili e adattamento climatico (il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici è stato approvato solo pochi giorni dopo la valutazione di Bruxelles). Per quanto riguarda le energie rinnovabili, invece, la bozza precedente descriveva target e step intermedi nei vari settori, ma non come arrivare all’obiettivo del 40,5% di rinnovabili nel consumo finale lordo di energia (percentuale anche più alta di quella del 39%, ’dettata’ da Bruxelles come contributo dell’Italia ai target europei). La Commissione aveva così chiesto “di fornire traiettorie stimate e un piano a lungo termine per la diffusione delle energie rinnovabili nei prossimi 10 anni, con una prospettiva fino al 2040” e di includere nel piano “politiche e misure dettagliate e quantificate”. Inoltre, ben conoscendo gli ostacoli che finora ha incontrato l’Italia, ha chiesto al governo di descrivere come intendesse “facilitare ulteriormente le autorizzazioni con procedure più rapide e semplici”. Dunque è su questi punti (e non sui target) che il governo deve fornire risposte.
L’aggiornamento del Piano – I ministeri, a riguardo, ribadiscono che l’area con performance più alte è proprio quella delle Fer: si prevede che quasi ottanta (79,2) dei 131 gigawatt di potenza al 2030, deriveranno dal solare, 28,1 dall’eolico, 19,4 dall’idrico, 3,2 dalle bioenergie e 1 Gigawatt da fonte geotermica. Quota, quest’ultima, che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo. Si attende il documento integrale per capire come tutto questo avverrà. Oltre alle fonti rinnovabili elettriche, stando a quanto dichiarato, si punta anche su “produzione di combustibili rinnovabili come il biometano e l’idrogeno, insieme all’utilizzo di biocarburanti che – secondo i ministeri – già nel breve termine possono contribuire alla decarbonizzazione del parco auto esistente”. E poi si punta su diffusione di auto elettriche, riduzione della mobilità privata, cattura e lo stoccaggio di CO2, ristrutturazioni edilizie ed elettrificazione dei consumi finali, in particolare attraverso un crescente peso nel mix termico rinnovabile delle pompe di calore. Su alcuni di questi punti, in particolare, la Commissione Ue aveva chiesto diversi chiarimenti. Per quanto riguarda le emissioni e gli assorbimenti di gas serra, l’Italia prevede di superare l’obiettivo del ‘FitFor55’ riguardante gli impianti industriali vincolati dalla normativa Ets, arrivando al -66% rispetto ai livelli del 2005 (quello dell’Ue è di una riduzione del 62%). Secondo quanto anticipato, anche nei settori non-Ets (civile, trasporti e agricoltura) si registra un sostanziale miglioramento degli indicatori emissivi e, si sottolinea “per raggiungere i target europei ad oggi ancora troppo sfidanti, sarà necessario profondere ulteriori energie”.
Gli scenari sul nucleare – Il Pniec prevede, per la prima volta, una specifica sezione dedicata ai lavori della Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile. Già nelle scorse settimane il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica aveva anticipato il ruolo che avrebbe avuto il nucleare nella nuova versione del Pniec. Di recente, poi, in un’intervista al Sole 24 Ore, aveva spiegato i dettagli. “Sono state inserite due ipotesi di scenario al 2050 – ha dichiarato – con una quota di produzione di energia da fonte nucleare più conservativa che fissa l’asticella all’11% della richiesta di energia elettrica nazionale (8 gigawatt al 2050) e un’altra, senza limiti sul potenziale installabile, al 22% con 16 gigawatt di capacità nucleare e con un costo di 34 miliardi inferiore rispetto allo scenario senza nucleare, guardando all’obiettivo dello zero netto”. Per Pichetto il piano è di contare sulla fissione e, nello specifico, i piccoli reattori modulari a fissione, almeno per i primi dieci anni dato che è lo stesso ministro a dire che per avere un impianto di fusione, in Italia bisognerebbe aspettare almeno fino al 2045 e definendo questa prospettiva come “poco più che un auspicio, perché non esiste ancora nulla a livello di produzione di mercato”. Come dire, se tutto fila liscio come l’olio, cosa che con l’energia dell’atomo accade più che raramente.