La violenza della polizia negli Stati Uniti d’America torna sui media del Paese dopo l’uccisione di un ragazzino di 13 anni. Il fatto risale a venerdì sera ed è avvenuto a Utica, nello stato di New York. Il 13enne era fuggito a piedi durante un controllo e aveva puntato contro un agente un’arma che però si è rivelata una pistola a pallini, replica di una Glock 17 con caricatore staccabile. I media americani hanno diffuso i video delle bodycam dei tre poliziotti intervenuti. Gli agenti (bianchi) hanno fermato due ragazzi mentre indagavano una serie di furti nell’area. I sospetti erano stati descritti come maschi asiatici armati. Quando uno dei due fermati è scappato, uno dei poliziotti lo ha rincorso e si è visto puntare una pistola contro. Dopo averlo raggiunto e gettato a terra, ne è seguita una colluttazione durante la quale l’agente ha esploso un colpo. Il ragazzo, dichiarato morto all’ospedale, si chiamava Nyah Mway. A sparare è stato l’agente Patrick Husnay, in servizio da 6 anni.

Sabato sera, racconta il New York Times, una parte dei residenti di Utica è scesa in strada si è ritrovata nelle vicinanze del luogo in cui Nyah è stato ucciso per una veglia in suo onore: candele, palloncini che raffiguravano il numero 13, l’età del ragazzino. “Ciò che è successo ieri nella nostra comunità – ha detto il sindaco Michael Galime – è un evento che è diventato troppo familiare e di routine”. Nyah aveva superato gli esami delle scuole medie proprio questa settimana. Era il secondo di quattro figli e amava giocare a calcio e andare fuori con gli amici. La mamma lo stava aspettando a casa, poi è arrivata la polizia che l’ha avvisata di quanto era accaduto e che il figlio era ricoverato in ospedale. Lei non ha fatto in tempo a raggiungere la struttura sanitaria perché il ragazzo era già stato dichiarato morto. I familiari di Nyah si trovano negli Stati Uniti come rifugiati: appartengono all’etnia Burma, perseguitati in Myanmar. Abitano negli Usa da circa 8 anni. Arrivare negli Usa è stata un’opportunità per ricominciare daccapo, spiegano i membri della comunità al Nyt, “senza la paura di essere perseguitati da figure autoritarie”. “Venire qui e perdere il tuo bambino in quel modo ti fa domandare: siamo passati da una persecuzione a un’altra?”.

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