Cronaca

Stuprata, ridotta in schiavitù e costretta a prostituirsi: giovane nigeriana si ribella e fa condannare i suoi aguzzini

Venti anni di carcere lei e nove anni lui. È la pena decisa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria al termine del processo a carico di Sonia Osazee, accusata di riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, violenza sessuale e tratta di essere umani. Per quest’accusa è stato condannato anche Sunday Ediorans, anche lui proveniente dalla Nigeria. I due sono stati riconosciuti come gli aguzzini di una delle tantissime ragazze nigeriane arrivate in Italia con l’illusione di cambiare vita per poi ritrovarsi su un marciapiede di Castel Volturno, in provincia di Caserta, a vendere il proprio corpo per ripagare il viaggio in cui ha rischiato di morire. In attesa delle motivazioni, che arriveranno tra 90 giorni, la sentenza ha sposato in pieno l’impianto accusatorio del sostituto procuratore della Dda Sara Amerio. In aula il pm ha ricostruito la storia della vittima che nel 2020 aveva denunciato alla squadra mobile quanto subito dal 2016, prima di arrivare al porto di Reggio Calabria.

La ragazza aveva 15 anni quando, tramite alcuni complici, Sonia Osazee l’ha sottoposta al “rito ‘juju’ con conseguente giuramento di non denunciare o parlare con la polizia se fosse successo qualcosa una volta giunta in Europa”. Stando alla Dda, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, non ci sono dubbi: Osazee “reclutava, introduceva nel territorio dello Stato ed ospitava la persona offesa sulla quale – scrive il pm Amerio nel capo di imputazione – esercitava poteri corrispondenti al diritto di proprietà, mantenendola in uno stato di soggezione continuativa e costringendola a prestazioni lavorative di tipo sessuale, con minaccia (di uccidere la sua famiglia d’origine e di farla tornare in Nigeria), inganno (avendole rappresentato che sarebbe venuta per intraprendere degli studi), abuso di autorità (per essere di età superiore), approfittando di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica e psichica e di una situazione di necessità”.

“Sola, straniera, priva di competenze linguistiche e culturali, senza soldi, senza conoscenze e senza alternative esistenziali”, la vittima si è ritrovata in Italia, sbarcando al porto di Reggio Calabria assieme a 651 migranti il primo settembre 2016. Il viaggio era stato organizzato da cittadini nigeriani ed arabi operanti in Nigeria. La partenza è avvenuta il 30 giugno 2016 da Benin City. Uscita dal suo Paese, la vittima ha quindi attraversato il Niger e da lì è arrivata Libia dove “è stata condotta – scrive il pm – dapprima presso un campo a Sebha gestito da uomini arabi armati, ove è rimasta per due settimane e dove si sono verificati atti di violenza, venendo lei stessa picchiata più volte, poi a Tripoli per essere imbarcata su un gommone diretto verso l’Europa”.

“Nel mezzo del viaggio – ha raccontato in aula durante la sua testimonianza – c’è stata una falla e l’acqua entrava dentro la barca. C’erano tante persone, 28 dentro la barca. C’era un neonato e abbiamo passato 17 ore in mezzo al mare prima che arrivasse la nave dei soccorsi. Dopo mi sono ritrovata a Reggio Calabria”.

Alla vittima avevano detto che in Italia avrebbe potuto proseguire gli studi. Non era vero e in meno di una settimana si è resa conto di essere stata ingannata. È stata lei a raccontare alla Corte d’Assise la conversazione avuta con Sonia Osazee: “Dopo 4 giorni, – sono le sue parole – mi ha detto che dovevo pagarle 35mila euro e io ho chiesto per cosa. Lei ha detto per il viaggio, che dovevo pagare quella somma. Io ho detto che quando ero in Nigeria nessuno ha detto che dovevo pagare, lei ha detto che dovevo pagare. Io ho detto come pago? E lei ha risposto che dovevo prostituirmi”.

La ragazza non aveva mai avuto rapporti, ma Osazee le spiegò che non doveva preoccuparsi “di questo” perché “ci sono persone che lo fanno”. In sostanza, prima di essere costretta a prostituirsi, la minorenne è stata violentata da un soggetto che non ha potuto nemmeno vedere perché le è stata fatta indossare una benda durante lo stupro. Una sorta di iniziazione per la giovane che – si legge nel capo di imputazione – “veniva tenuta segretata, senza poter uscire liberamente e costretta a prostituirsi per ripagare, a detta della Osazee, il debito di 35mila euro dovutole come compenso per il viaggio e per i documenti, venendo minacciata a tal fine di morte o di essere rimandata in Nigeria da dove non sarebbe più potuta uscire, se non avesse ottemperato a tale imposizione”.

Le angherie sono state spaventose: dopo averla fatta violentare, infatti, Sonia Osazee l’ha “sottoposta ad un nuovo rito ‘juju’ dal quale non si sarebbe potuta liberare. Dall’ottobre 2016 l’avviava alla prostituzione, presso la medesima abitazione di Castel Volturno per un anno e sei mesi”. Più volte la vittima ha tentato di scappare ma è sempre stata rintracciata e riportata indietro in quella casa dove veniva trattata come un pezzo di carne. Un giorno la vittima ha manifestato addirittura l’intenzione di rivolgersi alla polizia. La reazione di Sonia è stata drastica: “La Osazee la faceva traferire in Germania, precisamente a Karlsruhe – scrive il pm – facendola accompagnare in treno dal fratello Sunday Ediorans presso una non meglio identificata sorella, a nome Juliet, anch’essa ‘madame’, con l’intento di farle continuare l’attività di prostituzione”.

Dopo una settimana, la ragazzina è riuscita a sfuggire al suo destino, è ritornata in Italia e si è nascosta in una struttura di accoglienza mentre Sonia Osazee ha continuato “a minacciare la sua famiglia in Nigeria facendo addirittura picchiare i suoi familiari”. Ad avere la peggio è stato il padre della vittima che, “a seguito di uno di questi pestaggi, moriva a causa delle emorragie interne”. “Ho perso mio padre a causa di una emorragia interna causata dalle botte” ha ribadito in aula la ragazza nigeriana davanti ai suoi aguzzini che, con la sua denuncia, è riuscita a fare condannare.