Da centinaia di anni, i nativi Manobo delle Filippine vivono nell’area umida protetta di Agusan, nell’isola di Mindanao. Il cambiamento climatico non ha risparmiato neanche loro, che lo contrastano con case galleggianti e mobili.

La stagione delle piogge è sempre più capricciosa, i temporali e i tifoni sempre più violenti, il livello delle acque sale. “La terra è diventata acqua e l’acqua è diventata terra. Stiamo sperimentando la realtà del cambiamento climatico”, sintetizza alla Bbc Datu Reyes, un capotribù Manobo. Oltre agli eventi estremi indotti dal cambiamento climatico, a minacciare l’area umida ci sono il disboscamento illegale, il prosciugamento delle torbiere per coltivare palme da olio, l’invasione di giacinti d’acqua. Ma i Manobo, che si considerano i guardiani della palude, mantengono il proprio modo di vivere ancestrale, contribuendo alla protezione di questo ambiente: una vasta area paludosa di quasi 15 milioni di ettari, vero e proprio scrigno di biodiversità con un elevato numero di specie di alberi, liane, rampicanti, felci ecc. oltre che di uccelli, pesci, anfibi, rettili, mammiferi.

Case che poggiano sull’acqua – Non strade, ma vie d’acqua predominano nella palude di Agusan. Qui i Manobo si spostano con le baroto, le tradizionali canoe di legno, e costruiscono villaggi galleggianti. Basate su tecniche tradizionali, le case sono nate 60 anni fa per adattarsi alle mutevoli stagioni dell’area, soprattutto al periodo delle piogge tra dicembre e marzo, con le sue alluvioni.

Il segreto degli edifici? Costruiti in legno leggero, salgono e scendono al ritmo delle acque. Indispensabile, oggi che i cambiamenti sono la quotidianità e le tempeste possono colpire forte e in periodi diversi. Così il tetto di legno duro ha spioventi ripidi, per far scorrere la pioggia e mantenere fresco l’interno, e l’edificio, di rattan o foglie di palma intrecciate, poggia su piattaforme di bambù o di balsa. Legate agli alberi con corde robuste, le case riescono a resistere ai tifoni più violenti, come il famigerato Bopha, che nel 2012 uccise quasi 2000 persone nelle Filippine. Anche se il livello delle acque crebbe di 10 m, i Manobo se la cavarono bene, perché semplicemente le loro abitazioni si sollevarono.

Di fatto, a spaventarli maggiormente sono i venti di burrasca, sempre più violenti. “Più acqua c’è, più pesce prendiamo”, ha detto molto pragmaticamente alla Bbc Marites Babanto, una leader dei Manobo.

Le case hanno anche un altro vantaggio: se necessario, possono essere trainate con le corde e spostate. A periodi, i Manobo si trasferiscono in altre zone del lago per trovare condizioni migliori, per esempio per sfuggire alla vertiginosa diffusione dei giacinti d’acqua, invasivi e difficili da eradicare, che intasano tutto rendendo difficoltosa la pesca e la navigazione.

In sintonia con la natura – Le soluzioni di questi nativi per vivere in un ambiente di transizione tra terra e acqua e resistere al cambiamento climatico dimostrano un’alta sintonia con la natura. I Manobo proseguono con tecniche e conoscenze tradizionali, adattandole alle nuove condizioni. Continuano a utilizzare materiali rinnovabili e resistenti (a km 0, diremmo noi), che poi si degradano naturalmente quando non servono più. Hanno un grande rispetto per gli animali della zona umida, accompagnano caccia e pesca con riti tradizionali e cercano sempre di limitare l’uccisione allo stretto necessario per la famiglia.

L’insieme delle pratiche tradizionali dei Manobo, case galleggianti in particolare, ha attirato l’attenzione dei ricercatori, secondo cui queste soluzioni potrebbero essere adottate in altri Paesi, come l’Indonesia, minacciati da alluvioni e aumento dei livelli dei mari.

Da parte nostra, anche se non viviamo in città costiere a rischio, dovremmo riflettere sul modello Manobo, che mostra adattabilità, resilienza e rispetto della natura, fattori che hanno permesso alla comunità non solo di resistere al cambiamento climatico, ma anche di proteggere l’ambiente in cui vivono: la preziosa zona umida.

I reni del pianeta – Se le foreste sono i polmoni della Terra perché producono ossigeno, le zone umide sono i reni, perché assorbono il carbonio e filtrano gli inquinanti, che poi rilasciano se degradate. Tuttavia, secondo il Global Wetland Outlook, le zone umide spariscono a una velocità tre volte superiore alle foreste naturali.

Anche se rispetto al passato la palude di Agusan si è ristretta e asciugata, questa zona umida resta ancora molto ampia, con grande beneficio per le comunità che ci vivono, che da qui traggono il proprio sostentamento, e per l’intera nazione. La palude di Agusan costituisce con i suoi 59 laghi il 15% dell’acqua dolce delle Filippine. Inoltre è in grado di assorbire l’eccesso di acqua delle frequenti alluvioni e dei fiumi, evitando che le città siano raggiunte da forti inondazioni. Senza contare che la ricchezza di biodiversità, la presenza di santuari dei coccodrilli e di siti di nidificazione di aironi rossi possono rappresentare uno stimolo per l’ecoturismo.

Ovviamente le zone umide sono preziose per tutto il mondo, e come tali protette fin dal 1971 dalla Convenzione internazionale di Ramsar, che comunque non è bastata a frenarne il declino e la scomparsa. In Europa, in poco più di un secolo sono andate perse il 90% delle aree umide, in Italia il 66%. Ma se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, come auspicato anche dalla campagna di Legambiente “30% di territorio protetto entro il 2030”, le zone umide devono essere maggiormente tutelate dalle attività umane.

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