La spesa dei fondi strutturali europei, capitolo su cui sovraintende il ministero per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr di Raffaele Fitto, procede con una lentezza esasperante. Alla fine dello scorso aprile ne erano stati impiegati appena lo 0,9% del totale, 621 milioni di euro sui 74 miliardi disponibili (42 miliardi sono fondi strutturali Ue a cui se ne aggiungono 32 di cofinanziamento nazionale) . Lo scrive il quotidiano Sole 24 Ore sulla base dell’ultima trasmissione trimestrale a Bruxelles dei dati delle autorità di gestione dei programmi. Non c’è dunque nessuna accelerazione rispetto a quanto indicato a fine dicembre nella nota di aggiornamento al Def, quando la spesa era pari a 535 milioni (0,7%). In aumento però gli impegni di spesa, “passati – si legge- in quattro mesi da 4,2 a 6,8 miliardi, ma siamo ancora a meno del 10% delle somme disponibili”. I capitoli di spesa sono una cinquantina, gestiti da regioni e ministeri. Le somme vanno impegnate entro il 2027 e spese entro il 2029, altrimenti vanno perse. A questo ritmo è facile capire che la gran parte delle risorse rischiano seriamente di andare in fumo.

Il problema della lentezza e inefficienza nell’impiego dei fondi di coesione Ue non è una novità per l’Italia ma in questa fase pare particolarmente marcato anche rispetto a standard non esaltanti. Non aiuta la sovrapposizione di alcuni progetti con quelli finanziati attraverso il Pnrr. Lo scorso 19 giugno la Commissione Ue ha sollecitato l’Italia ad accelerare sull’impiego dei fondi. Ma di segnali in tal senso non se ne vedono. Le riforme in ottica di accentramento decisionale volute da Fitto hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Fitto, nel frattempo, si gioca la vicepresidenza della nuova Commissione, è l’uomo prescelto dal governo Meloni per rappresentare l’Italia a Bruxelles e difenderne gli interessi.

Il Sole 24 Ore scrive anche che sarebbe “in affanno” pure il Piano complementare finanziato a debito che affianca il Pnrr con pagamenti fermi a 3,1 miliardi nel 2023. In base a quanto si legge nella relazione annuale della Corte dei Conti infatti, “l’anno scorso, calcolano i magistrati contabili, gli stanziamenti per il Piano complementare si sono attestati a 5,4 miliardi, con una flessione dell’8,3% rispetto all’anno prima. Gli impegni effettivi sono arrivati a 4,7 miliardi (l’87% dello stanziato) e soprattutto i pagamenti, l’indicatore cruciale per l’impatto effettivo sulla crescita economica, si sono fermati a 3,1 miliardi. In questo modo, scrive la Corte dei conti, il Piano nazionale complementare mostra «una capacità di finalizzazione della spesa impegnata del 67,3 per cento, dato nettamente peggiore di quello rilevato sulla spesa capitale complessiva (86 per cento) e in calo rispetto all’80,2 per cento del 2022″.

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