Otto miliardi di euro di risultato netto su 130 miliardi incassati grazie ai premi pagati dai clienti, non bastano alle assicurazioni socie dell’Ania che il 2 luglio si sono riunite in assemblea a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica. La lobby delle compagnie assicurative candida i suoi associati a “un ruolo economico e sociale ancora più importante di quello svolto sino ad oggi, sia in qualità di gestore professionale dei rischi sia in veste di primario investitore istituzionale“, battendo cassa sotto forma di agevolazioni fiscali per le polizze meno vendute, ma anche di normative sui risarcimenti dei danni alla persone che però sono state bloccate dal Consiglio di Stato perché sfavorevoli alle vittime. E chiede di entrare nella sanità dalla porta principale, lamentando il mancato accesso delle compagnie ai fondi del Pnrr.

“Abbiamo la responsabilità di contribuire, da un lato, a rafforzare la protezione di famiglie e imprese, favorendo così la coesione sociale e la resilienza economica; dall’altro, di agevolare l’afflusso di risorse verso l’economia reale, favorendo la stabilità, la competitività e la crescita sostenibile del Paese”, ha detto la presidente Maria Bianca Farina nella sua relazione, sostenendo che “se ci possiamo candidare a un ruolo sempre più incisivo è perché abbiamo dimostrato tutta la nostra solidità anche nel difficile biennio 2022-23, caratterizzato da quella sorprendente fiammata inflazionistica, dal rapidissimo rialzo dei tassi di interesse e da una crescita moderata”. Ma anche perché sono il principale investitore istituzionale italiano: nel 2023 il 14% del risparmio degli italiani era versato in polizze vita, ma soprattutto le compagnie hanno destinato un quarto dei loro investimenti, circa 250 miliardi di euro su 960, all’acquisto di titoli di Stato italiani dando fiato alle casse del Paese.

Nel ramo danni le compagnie non si possono lamentare: i premi sono cresciuti in media del 6,6% sul 2022, con una performance particolarmente positiva per le polizze salute per le quali l’Ania parla di “progressione molto sostenuta”. Caso a sé l’Rc Auto che, secondo l’associazione, “dopo 11 anni di riduzione” ha registrato un aumento medio del volume dei premi del 4,3% “spiegabile con la dinamica inflazionistica che si è riflessa sul costo dei risarcimenti”. A tal proposito l’associazione ricorda con favore l’approvazione da parte del governo dello schema di DPR finalizzato all’adozione della Tabella unica nazionale (TUN) per il risarcimento dei danni non patrimoniali per lesioni gravi, celebrandone ipotetici effetti positivi e lamentando il fatto che l’iter legislativo “sembra essersi fermato”, mentre andrebbe “concluso senza indugio”. Omesso il dettaglio che la norma è stata bocciata dal Consiglio di Stato anche perché, sottolineava all’epoca il Movimento Consumatori, “l’impianto complessivo della TUN risulta svolto in funzione di una generalizzata, ingiustificata e programmata riduzione della tutela delle vittime”.

Il tema comunque non figura tra le sfide per il futuro delle compagnie assicurative italiane, la prima delle quali è il cambiamento climatico. Un ambito nel quale le assicurazioni vorrebbero un intervento dell’Europa per lo sviluppo di “un nuovo approccio” per la gestione collettiva del rischio. Cioè per una condivisione del rischio climatico tra più soggetti, a partire dagli enti pubblici. A livello locale, invece, le assicurazioni hanno apprezzato gli obblighi assicurativi contro i danni catastrofali introdotti dal governo per le imprese. Ma sperano che “il raggio di azione della copertura sia rapidamente ampliato alla proprietà immobiliare privata, anche con l’ausilio – almeno in avvio – di incentivi di tipo fiscale“. In altre parole che il governo agevoli l’acquisto di polizze casa contro il maltempo da parte dei privati. Il mercato che hanno davanti è una prateria se si pensa che secondo i dati della stessa Ania “solo il 6% delle abitazioni è coperto contro i rischi di terremoto e alluvione e solo il 4% delle piccole imprese possiede una polizza contro tali rischi”.

Dulcis in fundo la sanità e il welfare. Il ragionamento è sempre quello: la popolazione invecchia, le esigenze aumentano e lo Stato già non riesce a coprire la normalità, figuriamoci gli extra. “Qui il settore assicurativo, ancora una volta, può offrire un contributo. Può rendere possibile l’accesso alla protezione necessaria per dare tranquillità a milioni di persone di tutte le generazioni”, dice la presidentessa Ania per la quale “è necessario e urgente far sì che il welfare italiano possa rispondere alle nuove domande, sfruttando le sinergie fra pubblico e privato“. Con la precisazione che “non si tratta di costruire un welfare privato riservato a chi se lo può permettere. È possibile, invece, sviluppare una partnership fra pubblico e privato che sia inclusiva e orientata alla prevenzione e all’invecchiamento attivo per tutti”.

Al lato pratico in ambito previdenziale l’Ania riconosce che dal punto di vista normativo è già stato fatto tutto per dare un ruolo al privato accanto allo Stato. Tuttavia sarebbe ora di stimolare nuove iscrizioni attraverso “azioni mirate e incisive, volte a promuovere e rivitalizzare le adesioni”. Quanto alla sanità, oltre all’esclusione dal Pnrr, l’Ania nota come le forme sanitarie integrative abbiano circa 16 milioni di assicurati che versano “5 miliardi di premi e contributi“. Somma che però è “poca cosa rispetto ai circa 40 miliardi direttamente spesi dai cittadini per farmaci e prestazioni sanitarie”, una montagna di soldi che lascia spazio a tanti progetti. Ai quali le compagnie si candidano non senza guardare alla non autosufficienza, tema non più rinviabile.

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