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Léon Blum e la lezione del Fronte Popolare francese del 1936: una storia che serve ancora

di Michele Canalini

Il Nuovo Fronte Popolare delle sinistre – che ieri si è attestato quasi al 28% alle Legislative francesi – si richiama al Fronte Popolare degli anni Trenta, a sua volta sorto in contrapposizione ai totalitarismi del Novecento e formatosi con l’intento prioritario di difendere la Repubblica e la Costituzione.

Merita oggi ricordare quell’alleanza politica di circa novant’anni fa che portò il socialista Léon Blum a diventare presidente del Consiglio in Francia e il cui governo per primo introdusse le 40 ore settimanali di lavoro e le ferie pagate e obbligatorie, insieme ad altre misure a favore dei diritti sindacali nonché aumenti di varia misura dei salari degli operai. Molti dei quali erano italiani – non lo dimentichiamo – che, da lavoratori immigrati, erano tra quelli trattati peggio e tra i meno pagati.

Il governo di Blum è stato, poi, un esempio di progressismo liberale e scelse – per la prima volta nella storia repubblicana d’Oltralpe – tre donne come sottosegretarie per il suo governo: una scelta davvero significativa e coraggiosa perché nel 1936 le donne in Francia non avevano ancora il diritto di voto!

L’esecutivo di Blum ebbe anche l’appoggio dei comunisti ed entrò in carica quando tutta la Francia era paralizzata da uno sciopero generale a oltranza. Blum invitò le parti sindacali al Matignon e con loro riuscì a sancire un accordo storico. Ma ciò non fu sufficiente a placare le voci di opposizione e soprattutto i malumori interni.

Infatti, un bell’articolo di Siegmund Ginzberg sul Foglio di sabato 29 giugno (“Esaltazioni, errori e fallimenti dei Fronti popolari. La Francia di riprova”) ricorda il dissidio dell’esponente socialista con l’alleato comunista Thorez che ne criticò l’agire politico con un’espressione che divenne poi celebre: “Gli scioperi bisogna saperli finire”. Una frase che divenne anche tristemente profetica.

Di questo approfittarono anche la piccola borghesia e il padronato per osteggiare il Fronte Popolare che non era riuscito ad arginare la speculazione contro il franco e a frenare l’inflazione che stava mettendo in ginocchio la produzione francese.

Infine, i dissidi interni allo stesso fronte e il mancato rilancio dell’economia francese costrinsero Léon Blum alle dimissioni dopo un solo anno di permanenza al palazzo del Matignon, mentre l’esperienza personale del primo ministro conobbe una svolta drammatica quando, in seguito, Léon Blum, di origini ebraiche, venne consegnato dai collaborazionisti di Vichy ai tedeschi che lo deportarono a Buchenwald. Riuscì a sopravvivere al campo di sterminio nazista e rientrò in Francia dopo la Liberazione, dando vita assieme ad altri all’avvento della Quarta Repubblica.

Ecco una delle tante storie del passato che, a mio giudizio, dovrebbe servire ancora oggi da ammaestramento, nel bene e nel male. Secondo quella locuzione dei latini, “Historia magistra vitae”, che resta sempre valida per chi la sa ascoltare.

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