I carabinieri di Latina hanno arrestato Antonello Lovato, il titolare dell’azienda in cui lavorava Satnam Singh, il bracciante 31enne di origine indiana che il 17 giugno scorso era rimasto vittima di un incidente sul lavoro in un’azienda agricola di borgo Santa Maria. Singh era stato abbandonato davanti alla sua casa con il braccio tranciato, poggiato sopra una cassetta utilizzata per la raccolta degli ortaggi: due gironi dopo è morto all’ospedale San Camillo di Roma, dove era ricoverato in gravi condizioni. Il datore di lavoro, per il quale il Gip ha disposto la custodia in carcere, è accusato di omicidio doloso. Dai risultati della consulenza medico legale, infatti, la Procura della Repubblica di Latina ha variato l’ipotesi di reato inizialmente configurata, omicidio colposo, e ha contestato il reato di omicidio doloso con dolo eventuale. Il gip evidenzia anche la “condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà” dell’indagato. La decisione della custodia cautelare in carcere viene motivata dalla necessità “di recidere i contatti con l’esterno di Lovato”: “Il clima di soggezione nel quale versano gli altri lavoratori stranieri“, che dovranno ancora essere sentiti come testimoni, e “le possibili intimidazioni o i condizionamenti esterni andrebbero certamente a minare la genuinità delle loro affermazioni”, scrive il gip.
La consulenza medico legale ha accertato, scrive la Procura in una nota, che “ove l’indiano, deceduto per la copiosa perdita di sangue, fosse stato tempestivamente soccorso, si sarebbe con ogni probabilità salvato. Le condizioni del lavoratore dopo l’infortunio sono risultate talmente gravi da rendere evidente la necessità di un tempestivo soccorso“. Per la Procura di Latina “è dunque da ritenersi che la decisione di omettere il doveroso soccorso abbia costituito accettazione del rischio dell’evento letale ed abbia integrato la causa che ha direttamente determinato il decesso“. Per i pm, pertanto, Antonello Lovato era consapevole che il bracciante stesse rischiando la vita ma ha comunque accettato questa possibilità.
“Prescindendo da valutazioni etiche (irrilevanti per il diritto penale) che pure si imporrebbero a fronte di una condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà, non può sottacerti che l’indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire”, scrive il gip di Latina, Giuseppe Molfese, nell’ordinanza cautelare. Per il giudice per le indagini preliminari in più “il comportamento” di Lovato “è apparso lucido e finalisticamente teso a dissimulare quanto accaduto, a tutti i costi”. “D’altra parte, è logico ritenere che qualunque persona, in assenza di condizionamenti o diverse finalità perseguite, dinanzi ad un infortunio dalle conseguenze visibili (tra l’altro, amputazione di un arto) ed estremamente gravi, anche e soprattutto a fronte delle insistenti richieste in tal senso della coniuge della vittima, chiami i soccorsi – scrive ancora il gip – o conduca il ferito nel più vicino presidio sanitario. Antonello Lovato, nonostante il prospettato stato emotivo, carica il corpo sul furgone, abbandona il corpo e separatamente l’arto amputato (‘vi era una cassettina di plastica nera, tipica di quelle per la frutta, al cui interno vi era un pezzo di mano, che veniva poi recuperato dai sanitari’, secondo una testimonianza), si allontana repentinamente (‘iniziava a correre verso la strada dove era parcheggiato un furgone bianco’), intima il silenzio ai presenti (‘faceva il gesto del dito davanti la bocca, come per dirci di stare zitti’), provvede a ripulire le tracce ematiche dal furgone adoperato”. Come ricostruito dagli inquirenti l’imprenditore non ascolta le richieste della moglie del bracciante di chiamare i soccorsi, limitandosi a ripetere: “È morto, è morto“. Ma ascoltato il giorno stesso dai carabinieri, darà la colpa alla moglie di Satnam: “Non ho chiamato l’ambulanza perché la moglie mi diceva di portarlo a casa…”.
“Stavamo aspettando questa notizia, eravamo arrabbiati”: Gurmukh Singh, presidente della comunità indiana del Lazio, commenta così la notizia dell’arresto di Antonello Lovato: “La cosa più brutta che ha fatto è stata quella di lasciarlo davanti alla sua abitazione invece di portarlo all’ospedale. Un incidente può capitare, ma non chiamare i soccorsi è inammissibile“, ha sottolineato Gurmukh Singh.
Nei giorni scorsi era emerso che Renzo Lovato, padre di Antonello, è indagato da 5 anni per reati di caporalato in un altro procedimento. L’uomo è accusato, in concorso, di avere sottoposto “i lavoratori, almeno sei, a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno” corrispondendo una retribuzione inferiore a quella stabilita dal contratto nazionale. Inoltre, avrebbe violato la “normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro”. La Procura gli contesta anche di avere sottoposto i lavoratori “a condizioni di lavoro e a situazioni alloggiative degradanti“. I fatti contestati si riferiscono ad un arco temporale che va dal novembre 2019 al maggio 2020. Renzo Lovato è indagato assieme ad altre due persone responsabili di una cooperativa agricola. Dopo l’incidente che aveva portato alla morte di Satnam Singh, Lovato sr. aveva accusato lo stesso bracciante di aver “commesso una leggerezza che ha fatto male a tutti”.