Comunardo Niccolai, scomparso per un malore nell’ospedale di Pistoia all’età di 77 anni, ex difensore di Cagliari, Torres, Perugia e Prato, ha attraversato la storia del calcio come simbolo degli autogol e tormentato da una frase fulminante di Manlio Scopigno durante i mondiali messicani del 1970 (“mi sarei aspettato tutto dalla vita, ma non di vederlo in mondovisione”, inutili le smentite successive), ma è stato prima di tutto un signor giocatore – averne oggi come lui – e una persona perbene. È’ stato uno simboli del Cagliari scudettato del 1970. Un calciatore al quale i compagni di squadra volevano bene. Un nome su tutti: Gigi Riva.

Niccolai, nato a Uzzano alla fine del 1946, era un figlio della guerra. Il destino gli impose di farsi notare sin dai primi giorni di vita. Il padre, comunista doc ed ex portiere del Livorno, volle chiamarlo Comunardo in onore della Comune di Parigi. La mamma, cattolica, non gradì, ma il figlio aveva ereditato i valori del padre ed era orgoglioso di quel Comunardo. Il giocatore era anche ribattezzato “Agonia” per il fisico asciutto e l’aria sofferente quando affrontava gli avversari, ma nel suo periodo è stato uno dei migliori difensori italiani. Con un vizietto: quello di inventare autogol spettacolari, come quello in un Juventus-Cagliari nell’anno dello scudetto, in cui lasciò senza parole Albertosi. Poi altri “infortuni” doc: contro il Catanzaro nella trecentesima gara arbitrata in Serie A da Concetto Lo Bello, contro la Roma, contro la Fiorentina, a Perugia. La storia delle autoreti ha accompagnato la sua carriera, ma Ferri e Baresi hanno fatto peggio di lui con otto autogol a testa. Comunardo si era abituato al cliché e diceva: “Ho segnato anche quattro gol quando, ai miei tempi, i difensori superavano raramente la metà campo. Ho vinto uno scudetto a Cagliari e ho partecipato al mondiale in cui arrivammo secondi, ma va bene così, la cosa importante è essere ricordati”.

L’episodio più divertente viene ricordato così sulla pagina a lui dedicata su Wikipedia: “Il fatto più celebre e singolare non fu un’autorete, ma un tentativo di autogol, fallito, però sfociato in un rigore contro, il 13 febbraio 1972, nella partita Catanzaro-Cagliari. Al 90′, il Cagliari stava vincendo 2-1 e il Catanzaro, in uno stadio che era una bolgia, era all’assalto per cercare il pareggio. Nell’ultima azione, il libero del Cagliari Tomasini riuscì a togliere il pallone all’ala destra del Catanzaro, Alberto Spelta, che finì a terra in area di rigore. L’arbitro Lo Bello, non avendo ravvisato irregolarità, non interruppe il gioco, ma proprio in quel momento, si udì un fischio dagli spalti. Niccolai pensò che il fischio provenisse dall’arbitro per sanzionare il rigore: stizzito, indirizzò un forte tiro nello specchio della sua porta. Un giocatore del Cagliari, Mario Brugnera, deviò il tiro con le mani, tuffandosi sulla sua sinistra. Lo Bello a questo punto concesse davvero il rigore e Spelta pareggiò: 2-2”.

Niccolai, 228 presenze con il Cagliari e 3 in Nazionale, capiva di calcio. È stato, dopo un biennio da ct dell’Italia femminile, osservatore federale per diversi anni. Lo incrociavi talvolta nei ritiri azzurri nei grandi eventi: sempre discreto, educato, disponibile. Ormai aveva fatto il callo alla storia degli autogol. Comunardo se ne va mentre in Germania è in corso l’europeo dove sono state realizzate già nove autoreti. L’ultima è stata firmata dal belga Vertonghen contro la Francia. Un gesto doloroso, costato ai Diavoli Rossi l’eliminazione, ma assolutamente banale. Le autoreti di Niccolai non furono mai banali. Ci vuole stile anche nella sfortuna. Comunardo, con il suo nome, è stato un bel personaggio. Cagliari, e tutte le persone che gli hanno voluto bene, sono rimaste senza parole all’annuncio della scomparsa.

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