Una lite tra ragazzi e per un pallone, italiani da una parte e indiani dall’altra, degenerata in una rissa con tre feriti adulti: in meno di 24 ore Torpignattara, a Roma, è stato dipinto come un quartiere razzista dove italiani e migranti sono ai ferri corti. Al punto che nel corso di un presidio di solidarietà organizzato da Anci, Arci e altre rappresentanze politiche e sociali, ci sono stati insulti e spintoni: un gruppo di abitanti del quartiere si è avvicinato per contestare la presenza dei manifestanti. “Nessuno di voi è del quartiere. Siete tutti comunisti venuti qui da altre parti. Fate schifo”, ha urlato una donna. “Ti stacco la capoccia pure davanti alle guardie”, ha gridato un uomo.

La vicenda. I Carabinieri di Torpignattara, che ha altissima concentrazione di abitanti stranieri – cinesi, indiani, bengalesi, sudafricani e rumeni – stanno indagando su quanto accaduto nella notte tra domenica e lunedì. Secondo le ricostruzioni, vicino al parco Sangalli – che di sera si anima di bambini e persone di ogni etnia che si incontrano dopo lavoro e che è stato riqualificato negli anni, con anche un giardino dedicato alle diverse religioni, area giochi, tavoli da scacchi e da ping pong – si stava svolgendo una festa di compleanno a casa di una famiglia indiana. I bambini, tra i 6 e i 14 anni, scendono a giocare in strada. Dapprima con la palla, poi l’abbandonano per lo skateboard. A quel punto tre ragazzini italiani, intorno ai 13 anni circa, prendono il pallone e ci giocano per qualche tempo. Quando è ora di rientrare, i ragazzi indiani chiedono indietro la palla ma non gli viene restituita. Inizia un alterco tra ragazzini, gli indiani chiedono aiuto ai genitori per riavere la palla e quando scendono in strada, arrivano – secondo la testimonianza delle stesse vittime – altri ragazzi italiani un po’ più grandi, ma di 18 anni al massimo. Volano insulti, anche razzisti, ma non solo e uno dei genitori viene aggredito con un pugno al volto. Uno degli italiani lancia una bottiglia di birra. Un terzo, un 40enne di cui non è ancora chiaro se fosse accorso successivamente o se fosse un parente dei ragazzi italiani (le forze dell’ordine stanno cercando altre testimonianze e video dell’accaduto) aggredisce uno degli adulti indiani con una bottiglia spaccata, provocandogli una ferita al volto. Poi, mentre scappava, si è accanito su un lavoratore bengalese che in quel momento era solo sceso dall’autobus.

Il presidio e gli abitanti. Il quartiere si è così spaccato in queste ore sull’accusa di razzismo. Se da un lato Torpignattara è un luogo di forte integrazione, con scuole elementari che hanno fino all’70 per cento di studenti stranieri e con iniziative quotidiane di comitati e cittadini, dall’altro ci sono sacche di scontento soprattutto tra gli abitanti storici che in alcuni casi, come al presidio di ieri, emergono con forza e si rivolgono contro gli stessi italiani, prima che contro gli stranieri. Tutto, insomma, è molto più complesso come scopriamo girando proprio nel quartiere. “Non sono indiana, sono del Bangladesh”: la donna che alle 14 guarda la figlia raccogliere delle perline alle giostre del parco lo precisa all’inizio della conversazione. Spiega che non è un problema non saperlo. Tutti gli italiani si confondono tra pachistani, indiani, bengalesi, srilankesi. “E’ giusto” dice sorridendo. Ha sentito della rissa che la sera prima ha coinvolto alcuni suoi connazionali e dei ragazzini italiani, ma ne è sorpresa. “Ho molte amiche italiane, mia figlia gioca con i loro bambini e va a scuola: è felice. Anche io mi trovo bene”. Non ha il permesso di soggiorno, anche se è qui da nove anni. Ne mancano ancora due e anche la figlia di otto anni non è riconosciuta come italiana. Razzismo? “Non ce n’è qui”. E’ un punto fermo: lo dicono anche gli altri bengalesi e pakistani che sono in pausa pranzo, distesi sulle panchine: “Ogni tanto qualcuno alza il gomito e ci sono delle risse – dice Rashid – ma poi basta. Siamo integrati”.

L’altro lato. Pochi metri oltre i confini di questo parchetto, completamente riqualificato negli anni dal comitato del luogo e dove dal 3 luglio ci sarà una rassegna di film (intitolata “Karawan”) con pellicole sottotitolate nelle varie lingue – dall’egiziano all’indiano – , alcuni degli italiani di Torpignattara raccontano la loro variazione sul tema. “Non sono razzista eh – dice il proprietario di un’autofficina – ma servono più controlli. Bengalesi, indiani, cinesi, sudamericani: ormai il quartiere è loro, loro sono i negozi e i bar, gli italiani si contano sulle dita di una mano”. Il parco è il posto dove si riuniscono la sera dopo il lavoro. “Giocano tutti, ci sono tutti e sono pure brave persone. Ma ci sono quelli che spacciano, bevono. Cerchi online il video in cui si vedono due che fanno sesso nel parco – dice ancora – Quando mia figlia porta in giro il cane la importunano e le dicono ‘fare l’amore, fare l’amore?’. Un giorno le ho detto: falli venire sotto casa che poi ci parlo io…”

Il quartiere che cambia. Altri raccontano di un quartiere che nel giro di vent’anni si è spopolato di italiani: “Anche i miei figli hanno preferito andare via – dice un altro meccanico- qui una volta salutavi Paolo, Marco, Giorgio. Ora solo nomi impronunciabili, persone con culture diverse che magari sputano mentre camminano. E’ normale che cresce lo scontento di chi non si riconosce in questi usi”. Ammette che ultimamente questo sentimento sta aumentando. “Non si affittano più case agli italiani, si preferisce affittarle ai bangladini che ci vivono in dodici e quindi pagano di più. Lo stesso vale per i negozi: nascono fotocopie, tutti fruttivendoli, poi macellerie, poi telefonia. Li usano come basi per ottenere il permesso di soggiorno e mettere residenza. E pochissimi frequentano gli esercizi commerciali italiani”. La diversità spaventa, è questa la sensazione. Ma soprattutto tra gli adulti. Nel parco i bambini giocano tutti insieme, sempre.

La parte tollerante. La situazione è quindi molto più complessa di come viene raccontata. Per uno strano cortocircuito, le accuse di razzismo finiscono per nutrirlo. Al presidio spiegano che il tentativo mediatico di fare di Torpignattara un quartiere razzista è fuori luogo. Anzi. Qui l’integrazione è uno sforzo collettivo, rivendicato con orgoglio. È identitario quasi quanto la multiculturalità. “Il problema, al massimo, è la diffusione di questo tipo di violenza tra i ragazzini più giovani – ci spiega un partecipante riferendosi alle baby gang – perché di questo si tratta. Per il resto, siamo in una zona dove i servizi per favorire l’integrazione sono lasciati alla buona volontà dei cittadini, dei comitati e alla scuola. E per fortuna funzionano. Ma per il resto, le comunità straniere che aumentano sempre più sono abbandonate a loro stesse. Le partite di calcio al parco tra i ragazzi italiani e indiani sono quotidianità, i loro litigi – come quelli di tutti – sono quotidianità. Anche a scuola sono seduti vicini. Il punto è che siamo tantissimi, diversissimi, stipati in un luogo molto piccolo, con i suoi equilibri creati senza l’aiuto di nessuno. Se ci fosse un reale problema di razzismo, per come è connotata la popolazione del quartiere, ci sarebbero casi molto più gravi e frequenti”. Lo scontento, però, come mostrano i video, evidentemente c’è.

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