In Cronache dalla Galassia, Asimov chiama “crisi di Seldon” la “tempesta perfetta” provocata dal simultaneo svilupparsi di “una crisi domestica e una crisi esterna”. È quanto sta succedendo oggi in diversi Paesi democratici. Al ritorno dalle vacanze estive potrebbero esserci improvvise accelerazioni.

Il detonatore – L’epicentro della crisi al momento è negli Usa. Il primo dibattito televisivo in vista delle elezioni di novembre ha aperto un’autostrada davanti a Trump. “Sleepy Joe” Biden è parso ormai troppo anziano (al 73% degli americani) per fare ancora il Presidente: i sondaggi sono in caduta libera. La situazione spaventa i Democratici, non tanto perché perderanno le elezioni (ci sono abituati), ma perché Trump è un candidato tutt’altro che normale. In due parole, è un pericoloso fascistoide. Condannato per reati penali. Ma la Corte Suprema, in parte da lui nominata nel corso del suo primo mandato, sembra volergli offrire ogni salvacondotto: Trump va battuto nelle urne. Di qui il tentativo senza precedenti dei ‘dem’ di cambiare cavallo in corsa. Spero ci riescano. Ma secondo gli ultimi sondaggi Trump ha ormai un vantaggio di almeno 5 punti percentuali su qualsiasi candidato ‘dem’.

Crisi domestica – Trump ha detto che in caso di sconfitta non accetterà il responso elettorale, né tratterrà la furia dei suoi sostenitori. Ripete che l’elezione del 2020 gli fu rubata. In pratica predica la sovversione, delegittima la democrazia, diffonde vittimismo e odio, per spingere l’opinione pubblica a scelte politiche emotive anti-establishment. Ha infarcito il dibattito TV di menzogne: così attacca il concetto stesso di “verità” (premessa del “render conto” nella democrazia rappresentativa); la deride in quanto “valore”. Approfitta fino in fondo della tolleranza del sistema (liberale) in cui vive. Qualche volta, lanciato un sasso, nasconde la mano per lasciarsi tutte le porte aperte: anche per eventuali ritirate “tattiche” (come Mussolini, 1922-23). In caso di vittoria elettorale poi, figuriamoci! Promette di usare le istituzioni per vendicarsi (di cosa, non so), di aprire le cataratte, di politicizzare tutto. Da Presidente gli sarà più facile svuotare le istituzioni di sostanza democratica.

Crisi “esterna” – È anch’essa in uno stadio avanzato. La saldatura fra Russia, Cina, Corea del Nord e Iran è ormai evidente; Putin lavora per aggregare anche Hamas e i Palestinesi. La Russia, messo il bavaglio ai russi, preso (con Wagner) il controllo militare di alcuni stati africani, è già in guerra (ibrida, per ora) con noi (ignari). Con: attacchi informatici; attentati alle infrastrutture; omicidi mirati commessi nei nostri confini; propaganda sui social ingannevole, divisiva, suadente (ricordate Saruman?), pacifista (pro domo sua); finanziamenti e condizionamenti ai nostri politici, manipolazione dei processi elettorali (chiedete a Hillary). Putin nel 2021 definì “decadenza dell’Occidente” ma anche “opportunità” (per la Russia) la permeabilità dei nostri processi politici, la trasparenza, la poca voglia di combattere. Gerasimov individuò nel “fronte interno” il nostro punto debole. Avevano ragione! Parimenti la Cina, che dicono prepari l’invasione di Taiwan per il 2027, già bullizza il sud-est asiatico, e i cinesi espatriati… ma parla sempre di Pace.

Una presidenza Trump rappresenterebbe l’apice del successo di Putin e Gerasimov, e l’inizio della vera crisi esterna per le nazioni liberali (per l’Ucraina fu il 2014). La simpatia di Trump per i dittatori non verrà contrastata dal suo partito, si sposa bene con la vecchia tradizione isolazionista: “America first!”. Chiaramente, Trump intende abbandonare al loro destino l’Ucraina, il diritto internazionale, e l’ordine mondiale liberale antifascista sorto nel 1945 (e mal digerito dagli sconfitti del 1945 e dai sovietici). Il cosiddetto “nuovo” ordine internazionale prevede: mani libere delle superpotenze nelle rispettive “zone di influenza” – che diverranno “colonie di fatto” (Putin) -; il bilateralismo al posto del multilateralismo; e un mondo gestito (spartito) da pochi leader miliardari che si accordano sulla base dei rapporti di forza. Che dire?

Crisi double-face – Gli antichi romani rinunciarono alla Repubblica in cambio della Pax Romana di Augusto. In simil guisa, il “Concerto delle Grandi Potenze” dovrebbe almeno evitare la terza guerra mondiale. Ma si tratta di visioni ingenue, e per ingenui, (Hitler non attaccò la Russia “alleata”?). Come ingenua è – sul piano interno – l’idea che l’Uomo Forte, e in rapporto diretto col popolo, sia “efficiente”, o possa e voglia vendicare i torti subiti dai cittadini; e non voglia, invece, spartirsi la torta con gli amici, lasciando al “popolo” le briciole. La verità è che un crollo della democrazia Usa, o un nuovo asse imperialista Putin-Xi-Trump, aumenterebbe esponenzialmente i rischi democratici e geopolitici. E lascerebbe l’Europa, militarmente impreparata, sola di fronte alla Russia.

La crisi double-face non si affronta cedendo alle spinte sovversive, interne o esterne. Ma neppure si risolve con i tatticismi di corto respiro. Oggi – è vero – il “fronte interno” è già l’ultima trincea della libertà: alcune decisioni politiche e militari vanno prese subito, isolando chi non ci sta. Ma nel lungo termine il problema non sono più Trump, Le Pen, Salvini, Orban, Alternative für Deutschland, ecc. Costoro sono sintomi, catalizzatori di una crisi che viene da lontano. Occorre fare un’analisi profonda del disamore, o della sufficienza, dei giovani nei confronti sia del cosiddetto “sistema democratico”, sia dell’ordine mondiale vigente. Analisi propedeutica a un rinnovamento epocale della proposta politico-istituzionale liberal e di sinistra.

L’analisi in sé non sarebbe così difficile (magari in un prossimo post…). Difficile è, per Biden e l’élite democratica nostrana, riconoscere le proprie responsabilità, che impongono a questo punto di lasciare spazio a una nuova generazione.

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