La versione definitiva, rivista e corretta del Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) che l’Italia ha inviato a Bruxelles non riesce a colmare tutti i gap: alcuni obiettivi di riduzione delle emissioni e di assorbimento di gas serra non verranno raggiunti. Le ragioni sono da ricercare soprattutto in alcuni settori, come quello civile e dei trasporti. Per quest’ultimo, il Pniec resta su posizioni consolidate: “L’elettrificazione diretta e l’utilizzo dei biocarburanti avranno un ruolo complementare nella decarbonizzazione del settore”. E mentre il nucleare trova posto in un documento fondamentale come il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, il gas resta al suo posto e ci resterà a lungo. Gli obiettivi sulle rinnovabili erano e sono (almeno sulla carta) in linea con i target Ue, ma alle perplessità sulle strategie sottolineate dalla Commissione Ue, si aggiungono anche quelle suscitate dal decreto sulle Aree idonee per le rinnovabili, atteso da oltre due anni e che affida la pianificazione alla regioni. Un testo che sembra non aver sciolto diversi dubbi su principi e criteri per l’individuazione di queste aree.
Emissioni, dove resta il gap con i target Ue – Per le emissioni di gas serra va fatta una differenza tra quelle prodotte nei settori legati agli impegni dell’Effort Sharing Regulation (Esr) – cioè trasporti, civile, agricoltura, rifiuti e piccola-media industria – e quelle dei settori industriali energivori e termoelettrici legati agli obiettivi dell’Emission Trading Scheme (Ets). Per queste ultime l’obiettivo è europeo, essendo il sistema applicato a tutti gli Stati membri in maniera centralizzata, mentre per le emissioni soggette al Regolamento Esr, l’obiettivo di riduzione viene suddiviso tra Stati membri. Ed è proprio per il taglio delle emissioni in questo settore che non si arriva all’obiettivo Ue al 2030, ossia una riduzione del 43,7 per cento rispetto al 2005. Nella proposta definitiva di Pniec, rispetto all’ultima bozza del 2023, cambiano lo scenario di riferimento, ossia l’evoluzione del sistema energetico con politiche e misure correnti (si è passati da un taglio del 28,6% della bozza del 2023 a uno del 29,3%) e anche lo scenario di policy, che considera gli effetti sia delle misure ad oggi già programmate che di quelle ancora in via di definizione (in questo caso si va da poco più del 37% al 40,6%). Target comunque bassi rispetto a quelli che l’Italia dovrebbe raggiungere. “Sarà necessario avviare da subito una significativa riduzione delle emissioni da conseguirsi prevalentemente nei settori trasporti e civile (residenziale e terziario)” si spiega nel piano. Ma finora proprio veicoli ed edifici hanno rappresentato per l’Italia un tallone di Achille, visti gli sforamenti degli obiettivi degli anni passati.
Il nodo dei trasporti – Se da una parte l’elettrificazione dei trasporti è una soluzione rivolta alle nuove immatricolazioni in particolare di veicoli leggeri, per il governo i biocombustibili “avranno un ruolo chiave già nel breve termine in quanto contribuiscono alla decarbonizzazione del parco esistente e non solo a quello delle nuove immatricolazioni”. Inoltre, nel lungo termine “i biocarburanti ricopriranno un ruolo rilevante nella decarbonizzazione dei settori difficilmente elettrificabili, in particolare nel settore aeronautico e navale”. Morale: “Ci si aspetta una diffusione complessiva di quasi 6,5 milioni di veicoli ad alimentazione elettrica al 2030 di cui circa 4,3 milioni di veicoli elettrici puri (BEV) che insieme ai veicoli ibridi plug-in e ai veicoli Full Hybrid potranno contribuire alla riduzione delle emissioni del settore dei trasporti”. D’altronde, anche il Dpcm pubblicato a fine maggio in Gazzetta Ufficiale agevola l’acquisto di auto elettriche, ibride plug-in e a motore termico (con un livello di emissioni di CO2 fino a 135 gr/km).
L’Efficienza energetica e il settore civile – E i trasporti hanno un ruolo importante anche per quanto riguarda l’efficienza energetica. Su questo fronte, l’obiettivo Ue per il 2030 prevede un consumo finale lordo di energia primaria di 111 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), mentre le politiche attuali dovrebbero portare a 123 Mtep (nella precedente bozza si arrivava a 122). Per quanto riguarda i consumi di energia finale (obiettivo Ue di 93 Mtep) si arriva a circa 102 al 2030 (contro i 100 previsti nel 2023). Il settore che consumerebbe di più resterebbe anche al 2030 quello dei trasporti, seguito dal residenziale e dall’industria, ma è proprio verso i primi due che si indirizzeranno prioritariamente gli interventi di efficienza energetica. Il settore civile è responsabile attualmente di circa il 44% dei consumi finali di energia nazionali (con una quota del 29% assorbita dal residenziale). Da qui “l’importanza degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici”. Nel Pniec si elencano tutte le detrazioni fiscali messe in campo negli ultimi anni, a iniziare dal superbonus. Ma il documento cita anche la direttiva Case Green, contro cui il Governo Meloni si è schierato fino alla fine. La direttiva prevede che, riguardo gli edifici residenziali, ogni Stato membro deve adottare la propria traiettoria nazionale per ridurre il consumo medio di energia primaria dei medesimi del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. E su questo l’Italia ha un lungo lavoro da fare.
Scenari in linea nei settori Ets – Poi ci sono le emissioni dei settori industriali energivori e termoelettrici legati agli obiettivi Ets. In questo caso, se nella bozza del Pniec inviata lo scorso anno lo scenario di riferimento al 2030 portava a una riduzione del 55%, nella nuova proposta si arriva a un -58%. Le nuove misure, invece, porterebbero a una riduzione del 66%, quattro punti percentuali in più rispetto agli obiettivi al 2030 del pacchetto FF55 (nella bozza del 2023 l’obiettivo era pari a quello del pacchetto, ossia di un taglio del 62%). Qui, quindi, l’obiettivo dovrebbe essere centrato.
Buco nell’acqua per i target sugli assorbimenti – Per quanto riguarda gli assorbimenti di anidride carbonica nel settore dell’uso del suolo, del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura (LULUCF), l’Ue dovrebbe aumentare di circa il 15% gli assorbimenti netti rispetto ai livelli attuali e invertire la tendenza alla diminuzione degli assorbimenti netti registrata negli ultimi anni. L’obiettivo da raggiungere per l’Italia è di 35,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente al 2030, ma lo scenario di riferimento attuale porta a un taglio del 28,4% (nella bozza del 2023 era del 34,9%), mentre quello con le nuove misure che nel 2023 faceva prevedere un taglio del 34,9%, oggi porta a un significativamente più basso 28,4%.
Le rinnovabili, strategie meno chiare dei target – Per quanto riguarda la quota di energia da fonti di energia rinnovabile (Fer) nei consumi lordi di energia, l’obiettivo Ue è del 38,7%, con le nuove misure si arriverebbe a 39,4% (nella bozza del 2023 la quota era del 40%). Si stima, quindi, un consumo finale lordo di energia di circa 109 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), di cui 43 Mtep da Fer. Per quanto riguarda, in particolare, il settore dei trasporti si arriva al 34%, per il settore del riscaldamento e del raffreddamento le attuali politiche dovrebbero portare a un 36% e per il settore elettrico a un 63,4%, che farebbe da traino a tutto il comparto Fer. Restano quasi invariate le previsioni per il 2030, rispetto alla bozza del 2023: si punta a 131 gigawatt, 19,4 gigawatt dall’idrico, un gigawatt dal geotermico, 28,1 (di cui 2 off shore) di eolico, a quota 11,8 nel 2022, 3,2 gigawatt di potenza da bioenergie e 79,2 da solare (nel 2022 a 25 gigawatt). Rispetto al 2021 dovrebbe esserci nel complesso un incremento di circa 74 GW al 2030 (anche se l’ultima bozza del Decreto Aree Idonee indica l’obiettivo di 80 GW al 2030, di cui 10 in Sicilia, 8,7 in Lombardia e oltre 7 in Puglia). Si prevede, comunque, un salto notevole sia per eolico, sia per il solare. Nel complesso la produzione elettrica rinnovabile al 2030 arriverebbe a circa 237 TWh, compresa altri 10 TWh destinati alla produzione di idrogeno verde. Legittimo domandarsi se l’ampio margine di manovra dato alle Regioni possa o meno rappresentare una sicurezza per chi vuole investire nelle rinnovabili.
Gas, una certezza. Nucleare, una novità senza novità – Nel Pniec il ruolo del gas è ben delineato. E i dati sono aggiornati: nel 2023 la domanda è stata di circa 62 miliardi di metri cubi, con una riduzione di 6,8 miliardi di metri cubi (-10%) rispetto all’anno precedente, riferita in particolare ai settori termoelettrico e residenziale. Questa domanda, incluse le esportazioni, è stata coperta per il 5% dalla produzione nazionale e per il rimanente 95% dall’importazione. “Il gas continuerà a giocare un ruolo determinante per il sistema energetico nazionale durante il periodo di transizione energetica – si legge nel testo – e procederà ad integrarsi con i crescenti volumi disponibili di gas rinnovabili (biometano, bioGPL, bioGNL, dimetiletere rinnovabile, idrogeno e metano sintetico)” contribuendo alla diffusione “di carburanti e combustibili alternativi nei settori energetici, compreso il settore dei trasporti”. Nulla o poco cambia, rispetto alla bozza precedente, sotto il fronte del contributi “per riduzione della dipendenza da gas russo”, con gli aumenti di gas proveniente da Algeria, Egitto e Congo. Per quanto riguarda il nucleare, nei giorni scorsi il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin aveva già anticipato due scenari, entrambi accompagnati da una capacità di 245 GW di fotovoltaico e circa 51 GW di eolico: una quota di generazione nucleare, autolimitata alla metà del potenziale installabile che raggiungerebbe gli 8 gigawatt al 2050 (con produzione che coprirebbe circa l’11% della richiesta di energia elettrica) e una quota non autolimitata che arriverebbe a coprire circa il 22% della richiesta nazionale di energia elettrica (circa 16 GW di capacità nucleare al 2050). Si parla di nuovi piccoli reattori modulari a fissione e dei reattori a fusione su cui, ad oggi, ci sono solo sperimentazioni.