Un “miracolo”. Anzi, una serie di miracoli lunga 18 mesi che ha permesso alla giovane attivista afgana Asma Sadat di superare retate, sequestri, difficoltà burocratiche e tentativi di estorsione. E di arrivare in Italia grazie a un corridoio umanitario aperto da Arci Nazionale. A definire così la sua storia è Antonio Dentice (nella foto con Asma), l’attivista italiano che a gennaio 2023 si è fatto carico di un caso “disperato” e “ad alto rischio”, perché le probabilità di riuscire a organizzare la fuga di Asma e della sua famiglia da Kabul erano, a detta di tutti, prossime allo zero. Tanto che l’obiettivo di Dentice, scrive lui stesso in una ricostruzione degli eventi, era quello di garantirle “almeno una relativa tranquillità fino alla morte“. Perché Asma, spiega, “rappresenta un’eccellente sintesi di tutti i caratteri detestati dalla prepotenza talebana: indipendente, giovane, ribelle, sportiva, esperta di combattimento libero, attivista per i diritti umani, per i diritti delle donne e per di più istruita: ha fatto in tempo a conseguire il diploma poco prima della chiusura delle scuole ad opera del regime”. Non basta: Asma è sciita e appartiene a una minoranza etnica. I nuovi divieti talebani le impediscono di lavorare, togliendo ai genitori anziani e al giovane fratello l’unica fonte di sostentamento. Nondimeno lei intensifica la sua attività al fianco di giornalisti e dissidenti del regime, “producendo materiale audiovisivo per i media clandestini che pubblicavano il materiale fuori dal Paese”. Finché, “durante un’intervista, Asma provoca un capo talebano”. Finisce in galera e da quel momento iniziano i guai. E’ la vigilia di Natale del 2022.

“Asma Sadat” è uno pseudonimo col quale la ragazza è conosciuta sui social, mentre l’identità anagrafica rimane tuttora riservata. Altri ne ha dovuti adottare nei mesi della fuga da Kabul e poi in Pakistan, nell’attesa del corridoio umanitario. Asma ha il grande merito di essersela andata a cercare, documentando violenze, stupri su donne e minori, aborti di gruppo. Riportando drammi come la vendita delle bambine al mercato, ripresa dopo il ritorno al potere dei talebani e l’estrema povertà che ne è derivata. Ma anche la disperazione dei connazionali fuggiti in Pakistan e costretti al rimpatrio, coi padri che uccidono le figlie “dando loro una morte rapida, evitando torture e stupri per un tempo indefinito” una volta finite nelle mani dei talebani. Asma è dunque una nemica del regime e per questo, dopo la prigione viene spiata sui social, intercettata e braccata. La redazione clandestina con cui collabora subisce una retata, i suoi colleghi sono arrestati e torturati. Per puro caso, lei quel giorno non c’è. Il primo contatto con Dentice, per divulgare all’estero l’attività dei dissidenti come lei, avviene mentre cercano di entrarle in casa. Abbandonata in pochi istanti un’intera vita, scappa con la famiglia da un ingresso secondario e da quel momento inizia la fuga. Che non è una linea retta, ma un susseguirsi di nascondigli e spostamenti clandestini nella periferia di Kabul, monitorati da una ong ancora operante nel Paese, “tra le pochissime realtà al mondo ad avere ancora collegamenti operativi dentro l’Afghanistan”.

In Italia Dentice dà vita al progetto che chiama “Caso Asma Sadat“, e inizia a darsi da fare per triangolare le informazioni utili e raccogliere fondi da recapitare, non senza intoppi, attraverso persone fidate. “Sono stato contattato da questa prima ong dietro la raccomandazione di un amico che collabora con il Parlamento italiano e che garantisce per me come “persona sicura””, racconta. “Una condizione necessaria a causa di alcuni finti attivisti che nel recente passato si infiltravano nelle ong per vendere le liste coi nomi dei dissidenti dietro compenso”. La comunicazione avviene secondo un protocollo a “camere stagne”, fatto di passaggi indiretti, per non bruciare le identità delle persone. “La ong comunicava al sottoscritto, che successivamente contattava Asma, impegnata a cercare i “centri sicuri” e questi, a propria volta, erano in contatto con la ong (una sola persona non doveva accedere a troppe informazioni). È questa ong ad aver corretto il percorso della ragazza, specificando la necessità di andare in Pakistan e non in Iran dove Asma (di minoranza sciita) inizialmente si stava dirigendo”, perché non sapeva della disperata situazione dei profughi afgani nel Paese e l’impossibilità delle ong italiane a operarvi. Intanto i talebani le danno la caccia. Dentice racconta di richieste di contatti social da sedicenti attivisti, che però nessuno conosce, nemmeno Asma.

“Nel frattempo – scrive ancora Dentice -, cercavo una ong che si occupasse della ragazza una volta uscita dall’Afghanistan. Il 10 febbraio 2023 ricevo risposta da Refugees Welcome Italia (centro di Napoli), che a sua volta mi indirizza ad Arci Nazionale, responsabile di un corridoio umanitario”. Iniziano le procedure per inserirvi anche Asma e la sua famiglia che, dopo l’ennesimo tentativo di cattura, il 13 luglio 2023 riescono a entrare in Pakistan e dirigere verso Islamabad. Ma non senza foraggiare alcuni dipendenti dell’ufficio passaporti afgano: “È stato necessario “oliare” certi meccanismi, perché il costo dei passaporti afghani era passato da quattordici a mille euro in pochi giorni, per cause governative finalizzate a trattenere i dissidenti nel Paese”. Costi che in Pakistan aumentano ulteriormente così Dentice intensifica l’invio di denaro. I pericoli non mancano: “Esiste il problema del razzismo verso gli afghani, fomentato da una politica nazional-populista che trova in loro un perfetto capro espiatorio. Inoltre la ragazza è bianca di pelle, cosa insolita per Islamabad e capitava venisse derisa per strada, oltre a subire diversi tentativi di farla prostituire sfruttandone l’aspetto”. Trovare lavoro è quasi impossibile e così recapitare i soldi ad Asma: “Per motivi politici gli sportelli bancari rifiutavano di versare le somme agli afghani”. Gli importi servono a pagare l’affitto: senza una casa si viene rimpatriati in Afghanistan. “Nella difficoltà a ricevere i soldi si sono ritrovati sotto sfratto. Solo grazie all’aiuto di un afghano residente a Islamabad hanno trovato un nuovo rifugio”.

In quel periodo “aumentavano le uccisioni di afgani per mano dei pasthun pakistani: poco tempo prima era toccato a una donna che viveva proprio in quella zona”, riporta Dentice. Trovare i soldi per i documenti necessari a restare nel Paese diventa essenziale: “L’ostruzionismo degli istituti bancari iniziava proprio quando i visti della famiglia erano ormai vicinissimi alla scadenza, causando un rischioso ritardo nel rinnovo”. La soluzione, ancora una volta, arriva solo nelle ultime 24 ore disponibili, triangolando le somme attraverso pakistani fidati. Ma nemmeno i documenti in regola riescono sempre a proteggere la famiglia. Il 2 novembre 2023, come poi raccontato dal Fatto, un controllo della polizia sorprende la famiglia. Madre e figlia riescono a scappare, ma il padre e il fratello di Asma vengono arrestati insieme ad altri afgani. Asma scatta delle foto e le invia subito a Dentice. Che racconta: “Ho contattato Arci Nazionale che ha telefonato alla Farnesina e alla relativa Unità di crisi essendo la famiglia già nell’elenco del corridoio umanitario. Questi hanno subito segnalato al Ministero in Pakistan l’irregolarità degli arresti. Tra un passaggio e l’altro, la Farnesina aggiornava telefonicamente la ragazza, raccogliendo ulteriori dettagli. In meno di cinque minuti dall’inizio del fatto il Ministero degli Esteri era già operativo: il tempo di reazione si sarebbe rivelato essenziale”. Mentre la diplomazia si mette in moto, il fratello comunica ad Asma che i poliziotti pretendono una tangente di 800 dollari a testa, o li riporteranno in Afghanistan, praticamente una condanna a morte. “Finalmente la mattina successiva gli stessi poliziotti hanno rilasciato i familiari (svegliandoli con tanto di colazione)”. L’ennesimo tentativo di estorsione, prontamente risolto dal caparbio personale di Arci, avviene all’aeroporto, a pochi passi dalla salvezza. Il 21 giugno, alle 18:20 circa, Asma e la sua famiglia atterrano in Italia, a Roma.

Quello che Antonio Dentice definisce oggi “miracolo” è anche il risultato di una tenace rete di persone che grazie a lui si è messa in moto. Non senza battute d’arresto e qualche voltafaccia: “Vari “club” si sono rifiutati di partecipare al progetto, nell’impossibilità di una immediata pubblicità e un rapido tornaconto. Più di una associazione si è fermata poco dopo la partenza, per lo stesso motivo. I più onesti tra questi hanno evitato di iniziare, parlando molto chiaramente, come è capitato con un gruppo di grosse aziende che, per procura, mi ha posto una difficoltà intrinseca: noi commerciamo anche con il mondo arabo, se finanziamo la fuga di ribelli anti-talebani, rischiamo di indispettire potenziali clienti legati in qualche modo a loro (magari molto indirettamente). Un rischio imprenditoriale da non correre”. Ma “la rete di persone, istituzioni e associazioni organizzate dal sottoscritto, è rimasta attiva per tutto il tempo necessario, con ripetute donazioni anche degli stessi soggetti”. A conclusione del suo resoconto, Dentice ringrazia una lunga lista di associazioni, istituzioni religiose, scuole, imprenditori e singoli individui “dal Nord al Sud Italia, che mi hanno aiutato con donazioni, nell’organizzazione, nell’assistenza tecnica, ospitando la divulgazione del progetto e nella ricerca di contatti utili per proseguirlo”. Tenacia, speranza, solidarietà, certo, ma non solo. La storia di Asma è anche il controcanto di un’Italia che respinge tanti altri afgani senza nemmeno verificarne la richiesta di protezione internazionale, lasciando che superino da soli migliaia di chilometri e pericoli o che si perdano lungo rotte impervie come quella balcanica, che subiscano abusi e violenze.

foto credits: Marco Thomas

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