Prima della partenza del presidente argentino, Javier Milei, per il resort di Borgo Egnazia in occasione del G7, il parlamento ha approvato una lunga lista di privatizzazioni dalle quali sono state escluse la privatizzazione della compagnia aerea di bandiera, delle poste e del servizio pubblico radiotelevisivo (Rta). In Slovacchia invece la televisione pubblica (RTVS) sta per essere chiusa ed al suo posto dovrebbe nascere un nuovo organismo (STVR) più sintonia con le politiche del governo.
Il servizio pubblico, come si vede da questi casi, è oggetto di particolari attenzioni ed è evidente l’intento di chi governa di condizionare la libertà dell’informazione. Cosa succede in Italia? Le due vicende ci sollecitano a difendere il servizio pubblico, come baluardo per le libertà dell’informazione, anche se la Rai attraversa una fase in cui le critiche negative superano di gran lunga i meriti.
La Rai cambia “pelle” secondo chi governa; quel che è oggi, non lo sarà domani: questo camaleontismo è la sua debolezza, anche se per alcuni è la forza che le permette di perpetuarsi. Dopo ogni elezione, la maggioranza tende ad imprimere un nuovo corso, a cominciare dall’informazione. Quel che preoccupa è il livello esorbitante dell’occupazione: al contrario Berlusconi, pur nella particolare situazione del conflitto d’interessi, lasciò sempre spazi informativi all’opposizione, segno di rispetto democratico che ora non c’è.
I problemi riguardano anche la programmazione, che rivela spesso sciatteria e approssimazione. La “scomparsa” di Raitre, per esempio, ha determinato la perdita di immagine che caratterizzava tutta la Rai, Raitre è sempre stata considerata la rete “culturale” per eccellenza. Grazie a questa rete si giustificavano i programmi più banali di intrattenimento, funzionali alla raccolta pubblicitaria. Con la programmazione di Raitre si motivava il canone, con i programmi più leggeri si giustificava la pubblicità. La Rai ha così “vissuto” per decenni.
Quella di oggi è una Rai che ha come obiettivo quello di “divertire” il pubblico; c’è infatti un fiorire di nuovi spettacoli comici che, oltretutto, si dimostrano dei flop, essendo costruiti con approssimazione da una linea produttiva non all’altezza. “Alleggerire” il palinsesto con programmi di evasione, anche i talk sono pieni di cronaca rosa, sembra essere la nuova mission.
Il pubblico è disorientato, si allontana dalla Rai e privilegia altre emittenti. Quest’anno la Rai si salverà grazie a Sanremo e agli Europei di calcio, ma in autunno-inverno i problemi saranno evidenti. Uno dei problemi è l’invecchiamento del suo pubblico: l’età media degli ascoltatori del Tg1 della sera è pari a 65anni mentre quella del Tg5 è di 55anni; il 74% degli ascoltatori di Raiuno in prima serata hanno più di 55anni contro il 53% di Canale5; nella fascia di età 25-54anni, Rai nella prima serata ha ottenuto nel 2023 il 30% di share, Mediaset il 44%.
La Rai sarà in grado di cambiare o, non riuscendo a farlo, andrà privatizzata?
Un’ancora di salvezza proviene dall’Europa. Il 17 aprile scorso, la Gazzetta dell’Unione Europea ha pubblicato il nuovo regolamento sulla “libertà dei media”. In particolare, l’art. 5 disciplina i servizi pubblici: entro l’8 agosto 2025 tutti paesi devono garantire queste due criteri:
– I servizi pubblici devono essere “indipendenti dal punto di vista editoriale” e fornire “in modo imparziale una pluralità di informazioni e opinioni al loro pubblico”. Le procedure per le nomine del vertice devono essere “finalizzate a garantire l’indipendenza”.
– Per tutelare l’autonomia editoriale si prevede che “le procedure di finanziamento si basino su criteri trasparenti e oggettivi stabiliti in anticipo”, in modo da garantire ai servizi pubblici “risorse finanziarie adeguate all’adempimento della loro missione”.
La situazione attuale evidenzia che il nostro paese è al riguardo “fuori legge”. La legge 220/2015 ha introdotto un sistema di governance che assegna i maggiori poteri di nomina all’Esecutivo. È stata poi prevista una nuova figura, l’Amministrazione delegato, che diventa il dominus dell’azienda pubblica. Una anomalia in quanto si è sempre cercato di avere forme di collegialità nel governo dell’azienda. La legge 220 è ritenuta da diversi esperti anticostituzionale, e ciò mette in dubbio la possibilità di rinnovare il Consiglio di amministrazione sulla base di questa legge.
Per essere autonomi bisogna esserlo anche finanziariamente. Anche in questo caso la dipendenza da Palazzo Chigi è forte, si pensi alle decisioni sul canone.
Una Rai riformata secondo le linee guida dell’Europa sarebbe un’azienda autonoma e non ricattabile dalla politica; un’azienda che non subirebbe contraccolpi ad ogni elezione, capace di trarre dai cambiamenti sociali e politici nel Paese le indicazioni per migliorarsi.