Crime

Il caso Yara Gambirasio arriva su Netflix, Massimo Bossetti: “Era da tanto tempo che aspettavo questo momento”

Dal 16 luglio sarà disponibile su Netflix "Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio", la docuserie sul caso della 16enne rapita e uccisa a Mapello

Sarà disponibile dal 16 luglio su Netflix la docuserie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” ma già si sono riaccesi i riflettori sull’omicidio di Yara Gambirasio. Dopo la sua scomparsa da Brembate di Sopra il 26 novembre 2010, e ancor più dal 2014 con l’arresto di Massimo Bossetti, la sua storia ha diviso l’Italia. Da una parte ci sono i colpevolisti, che nel muratore di Mapello riconoscono il mostro; dall’altra gli innocentisti, che ritengono che in carcere ci sia la persona sbagliata. Nel mezzo, i dubbiosi, che criticano l’indagine condotta dalla pubblico ministero bergamasca Letizia Ruggeri. Il settimanale Oggi ha avuto accesso in anteprima alla serie e ne anticipa i contenuti nel numero in edicola, sollevando ulteriori perplessità sulla solidità delle prove che hanno portato alla condanna all’ergastolo del muratore.

La docuserie, in cinque puntate, si concentra infatti sulla domanda cruciale: la colpevolezza di Bossetti è stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio? Attraverso un’analisi dettagliata delle indagini e delle prove, emergono lacune, incongruenze ed errori che mettono in discussione la ricostruzione ufficiale dei fatti. Il cuore della serie è l’intervista esclusiva a Bossetti: a intervistarlo, per due giorni interi nel carcere di Bollate dove sconta un ergastolo definitivo, è Carlo Gabardini, scrittore e sceneggiatore che con Gianluca Neri ed Elena Grillone firma la docuserie. Gabardini racconta al settimanale: “La sensazione è che volesse raccontare la sua storia dopo averlo sentito fare da altri per anni. Nel momento in cui lo guardi negli occhi è inevitabile che la prima domanda che ti poni è se sei davanti all’assassino di una bambina o a uno che sconta ingiustamente un ergastolo”. E nfatti, la prima cosa che Bossetti dice a favore di camera è: “Era da tanto tempo che aspettavo questo momento. Confermo la mia innocenza e la confermerò fino alla fine“.

Bossetti, visibilmente provato, si commuove parlando della moglie, dei figli e dell’ergastolo, ma mostra anche rabbia nel descrivere un episodio in cui gli inquirenti avrebbero cercato di costringerlo a confessare. “Quando ero chiuso in isolamento mi viene a far visita un comandante. Fece portar dentro un foglio bianco, sfila una biro dal taschino e dice: ‘Dobbiamo arrivare a un compromesso. Lei capisce cosa voglio dire? Vuole vedere la sua famiglia o vuole stare qui in questo buco? La smetta, reagisca e metta giù quello che le dico. Io, Bossetti Massimo mi trovavo lì…’. Ho cominciato a capire cosa voleva farmi, presi il foglio e glielo lanciai addosso”, ha rivelato. Durante il processo, Bossetti ha raccontato di non aver mai staccato gli occhi dalla pm Ruggeri: “Non ho mai staccato gli occhi dalla Ruggeri, lei non ha mai incrociato il mio sguardo, sa di avermi distrutto la vita“, dice Bossetti. Ha anche criticato i genitori di Yara: “Quello che mi ha subito stupito è stato non vedere in aula i Gambirasio. Se fosse scomparsa una delle mie figlie non avrei perso un’udienza”. In certi momenti sembra crollare, dicendo a Gabardini: “Così però mi fai del male”.

La docuserie si sofferma anche sul ruolo delle donne nella vicenda: Yara, la madre Maura, Ester Arzuffi, Marita Comi, la pm Ruggeri, la giudice Bertoja e le due mediche legali Cattaneo e Ranalletta. Le loro storie si intrecciano con la vicenda giudiziaria, offrendo una prospettiva più ampia e complessa sul caso. L’indagine di Netflix non tralascia gli aspetti controversi dell’inchiesta: dai campioni di DNA comparati per errore a quelli analizzati con kit scaduti, dal video del furgone di Bossetti “confezionato a scopo comunicativo” ai campioni di DNA di Ignoto 1 distrutti per incuria. Emerge anche il ruolo dei veggenti, le cui “visioni” sono state prese in considerazione dagli inquirenti, sollevando ulteriori dubbi sulla conduzione delle indagini.

Alla fine, Carlo Gabardini ammette di avere ora più dubbi rispetto all’inizio, ma anche più elementi per convivere con l’incertezza: “Ho più dubbi ma anche più elementi per convivere con i dubbi. Quello che ho capito scrivendo questa docuserie è che bisogna collaborare con l’incertezza”. Un lusso che la giustizia non può permettersi, ma che la docuserie può esplorare, offrendo una nuova prospettiva su uno dei casi più controversi della recente cronaca italiana.