di Michele Sanfilippo

Il cinema è di gran lunga il più efficace mezzo di espressione artistica attraverso cui è stata rappresentata la duplicità della società statunitense, sempre in bilico tra rispetto dei diritti umani, dei valori democratici e dell’integrazione razziale da un lato e un conservatorismo che troppo spesso è andato a braccetto con forme di suprematismo bianco (vedi Ku Klux Klan) ammantato di fondamentalismo cristiano, dall’altro.

Esempi di film imperdibili davvero non mancano, ma ne vorrei citare solo alcuni, tra quelli che a me sono più cari, a partire da Easy Rider, passando per i “Blues Brother”, “Platoon” e quello che amo di più, Il Grande Lebowski dove, in modo apparentemente leggero e ironico, il protagonista, the Dude, un hippie un po’ attempato, deve fronteggiare le iniziative, sempre foriere di violenza e guai, del suo compagno di bowling, Walter.

Qualche mese fa è uscito sui grandi schermi Civil War che sicuramente non possiede le qualità dei film citati in precedenza ma che, a mio avviso, ci offre una nuova prospettiva. La convivenza tra i due volti degli Usa è giunta al capolinea. Il paese è ormai spaccato in due: non resta che lo scontro, il muro contro muro. Il riferimento alla realtà attuale, in cui Trump ha un enorme seguito nella popolazione ed è in grado di incendiare il paese, è fin troppo chiaro. Meno chiari, nel film, sono i motivi dello scontro che non vengono del tutto analizzati. A noi resta il compito di interrogarci per cercare di capire e, se possibile, prevenire; anche se il film ci dice con chiarezza che gli uomini non sanno imparare dalla storia.

Ciononostante ritengo che sia sempre importante capire e per farlo occorre sfuggire alla tendenza inutilmente semplicistica di dare tutta la colpa a Trump. Molto più utile invece interrogarsi sul perché milioni di americani vedono proprio in lui, una persona mediocre, ignorante e pericolosa, la soluzione ai propri problemi e quelli del paese in cui vivono.

Io credo che la dialettica tra le due Americhe abbia funzionato fintanto che la società ha saputo generare benessere, facendo crescere la classe media attraverso una buona istruzione e servizi di primordine. Purtroppo negli ultimi cinquant’anni l’adozione di politiche economiche neoliberiste hanno ridotto molto il benessere della classe media, che si è trovata a fare i conti con una precarietà difficile da tollerare perfino in un paese come gli Usa.

E se, nel tempo, gli elettori che vedevano nel partito democratico un baluardo per arginare la voracità dei mercati, da Bill Clinton in avanti hanno visto quest’immagine deteriorarsi fortemente per crollare definitamente con la scelta di candidati come Hillary Clinton prima e Biden dopo, le cui politiche economiche si sono distinte ben poco da quelle dei conservatori. Così, soprattutto dopo la crisi del 2008, il senso di precarietà e l’incertezza del futuro si sono fatte strada nella società. In queste condizioni, poco serve ricordare agli elettori che Trump è un uomo pericoloso che mette addirittura in gioco le basi democratiche del paese. Il fatto è che le persone chiedono protezione e Trump gliela promette. Poco importa che questo non sia vero.

Ed è inutile ripetere continuamente, come fa per fare un esempio Antonio Di Bella, che il vecchio e saggio Joe (Biden) sta facendo crescere il Pil e l’occupazione, se poi la crescita del Pil e un lavoro non si traducono in maggior sicurezza economica per la popolazione. Se la politica non è più in grado di correggere le politiche economiche per fare in modo che la ricchezza venga redistribuita equamente nella popolazione, il futuro prospettato in Civil War diventerà sempre più probabile. E non solo negli Usa.

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