“Giulio Regeni mi disse: ‘Arrivo tra 25 minuti’. Era un persona molto precisa. Il telefono ha squillato fino alle 20:31 e poi non ha più squillato. Da lì in poi non mi sentivo tranquillo”. È il racconto del prof. Gennaro Gervasio, l’ultima persona che sentì Giulio il 25 gennaio 2016, prima che il ricercatore fosse rapito. Gervasio, con il quale il giovane ricercatore si sarebbe dovuto incontrare il giorno in cui fu sequestrato, è stato sentito in Aula come teste nel corso del processo a carico dei quattro 007 egiziani: Usham Helmi, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati del reato di sequestro di persona pluriaggravato (mentre al solo Sharif sono contestati anche i reati di concorso in lesioni personali aggravate e di concorso in omicidio aggravato, ndr).
“Mi metteva al corrente delle sue ricerche, mi raccontò che con il sindacalista Abdallah non c’era questa fiducia. Sul bando invece io gli dissi che secondo me non ne valeva la pena, anche perché non erano molti soldi e i soggetti non sarebbero stati i beneficiari diretti ma dovevano passare per una ong”, ha spiegato in Aula Gervasio.
Per poi raccontare di aver temuto durante il suo interrogatorio in Procura, dopo il rapimento di Regeni e la notizia della sua morte: “Vengo a sapere della sorte di Giulio da Rabab, che mi manda un messaggio alle 22:21: mi dice che forse ci sono cattive notizie. Quando invece sono stato interrogato in Procura entrai alle 14 per uscire alle 21, dopo sei, sette ore. Chi mi ha interrogato è stato molto aggressivo, una delle due persone è entrata con l’articolo che venne pubblicato dal Manifesto, dicendomi se avevo scritto io l’articolo con Giulio. Nei giorni seguenti sono andato in ambasciata, lì ho percepito molto la tensione. L’ambasciata non informò la mia partenza dal Cairo. Ricordo che ero in ansia quando ero all’aeroporto, cancellai delle cose dal telefono”, ha concluso Gervasio.
Prima di Gervasio è stato sentito come teste anche l’ex colonnello del Ros, Onofrio Panebianco, che ha ricostruito come la casa al Cairo di Giulio Regeni fosse stata perquisita almeno tre volte dagli apparati di sicurezza egiziani. Gli uomini degli apparati fecero ispezioni anche quando “Regeni era ancora in vita“, ha spiegato. “Questi elementi sono riscontrati – ha precisato il teste – dalle dichiarazioni di due testimoni, che hanno raccolto le confidenze del proprietario di casa di Regeni e dai tabulati telefonici“.
In base a quanto ricostruito dagli inquirenti la prima perquisizione risale al 22 gennaio del 2016, tre giorni prima del rapimento del ricercatore friulano. Un secondo sopralluogo sarebbe avvenuto il 28 gennaio, quando Regeni era già nelle mani degli agenti dei servizi e infine un terzo episodio sarebbe avvenuto quando i genitori di Regeni erano già in Egitto per cercare il figlio. Nella prossima udienza, prevista per il 16 luglio, sono stati citati l’ex premier Matteo Renzi e l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti.
Articolo Precedente

Il festival gli fa comprare il biglietto più caro per l’accompagnatore: “Io disabile doppiamente discriminato al concerto”

next
Articolo Successivo

Il Pride è energia, libertà, dignità. Anche se è una delle lotte più strumentalizzate dalla politica

next