Giustizia & Impunità

Reggio Calabria, si allarga l’inchiesta su politica e appoggio elettorale delle cosche: tre nuovi indagati di Pd, FI e Lega

Si allarga l’inchiesta “Ducale” contro la cosca Araniti di Reggio Calabria che da qualche settimana ha gettato più di un’ombra sulle elezioni regionali del 2020 e del 2021 e le elezioni amministrative reggine del settembre 2020. Ci sono nuovi indagati politici oltre al sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà (Partito democratico), al consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri e al consigliere comunale del Pd Giuseppe Sera.

Mentre la Dda, per questi ultimi due, ha presentato appello al Tribunale del Riesame chiedendo l’arresto in carcere dopo il rigetto della misura cautelare da parte del gip Vincenzo Quaranta, l’inchiesta del Ros rischia di travolgere l’intera politica di Reggio Calabria, non solo la maggioranza ma anche l’opposizione che, in queste settimane, ha cercato di fare la morale al centrosinistra tentando addirittura di prendere per la giacchetta la prefettura invocando una commissione d’accesso antimafia. Poche settimane e anche il centrodestra si ritrova impantanato nelle stesse vicende di ‘ndrangheta. E non solo.

Il procuratore Giovanni Bombardieri, gli aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e il pm Salvatore Rossello, infatti, hanno iscritto nel registro degli indagati altri tre politici accusati di scambio elettorale politico mafioso. C’è pure l’ex senatore Giovanni Bilardi, storico democristiano che nel 2017 è rientrato in Forza Italia senza riuscire a farsi ricandidare alle elezioni politiche del 2018. Fino ad allora aveva militato nel Nuovo Centrodestra e prima ancora nel Popolo della Libertà. Sono indagati, inoltre, l’assessore comunale di Reggio Calabria Domenico Battaglia, detto “Mimmetto”, del Partito democratico e il consigliere comunale Mario Cardia eletto con nella coalizione di centrosinistra ma poi subito transitato a destra quando, il sindaco Falcomatà, non lo ha nominato assessore.

È lo stesso Cardia che adesso, indagato pure lui per scambio elettorale politico-mafioso, probabilmente starà pensando alle dimissioni da consigliere comunale. Magari spinto dagli altri consiglieri della Lega. Quantomeno per essere coerenti visto che, all’indomani del blitz “Ducale”, l’esponente salviniano e suoi compagni di partito avevano chiesto al sindaco Falcomatà di farsi da parte: “È arrivato il momento di staccare la spina. – si legge nella nota della Lega – Abbiano un sussulto d’orgoglio, vadano a casa e restituiscano la parola agli elettori”.

Per quanto riguarda l’ex senatore ed ex consigliere regionale Giovanni Bilardi, secondo la Procura il politico reggino avrebbe avuto contatti con la cosca Araniti non solo attraverso Carmelo Trapani, il suo ex autista arrestato nell’operazione “Ducale” con l’accusa di associazione mafiosa. Ma anche “grazie alla fondamentale opera di intermediazione di Paolo Pietro Catalano” anche lui indagato nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Nel fascicolo dell’indagine, stando a quanto trapela, ci sarebbero numerose intercettazioni tra l’ex senatore e Catalano. Sarebbe stato proprio quest’ultimo, infatti, a consentire al gruppo guidato da Daniel Barillà, il genero del presunto boss Domenico Araniti, di “ottenere il supporto elettorale per il Sera (il consigliere comunale del Pd Giuseppe Sera, ndr) di una delle figure storiche della destra regionale e locale, l’ex senatore Giovanni Emanuele Bilardi detto Gianni”.

“Tutto il pomeriggio, un’ora sono stato con Giovanni Bilardi… ci siamo presi un caffè… è un amico”. È la frase con la quale Daniel Barillà, oggi ai domiciliari, ha rassicurato Peppe Sera circa il sostegno elettorale dell’ex parlamentare.

Nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita l’11 giugno compariva più volte il nome dell’assessore comunale Mimmetto Battaglia del Pd che alle regionali del 2020 non è stato eletto, anche perché era “appoggiato in maniera minore” dalla cosca Araniti e da Daniel Barillà i quali, invece, avrebbero puntato sul consigliere Giuseppe Neri di Fratelli d’Italia.

Che Battaglia fosse indagato lo si percepiva da quanto scrivono i magistrati quando ricostruiscono le “strategie” politiche di Daniel Barillà “volte a non pubblicizzare eccessivamente la decisione di appoggiare il predetto candidato del centrodestra (Giuseppe Neri, ndr), di modo da non compromettere il rapporto con il centrosinistra locale, rappresentato nella specie dal candidato Domenico Battaglia”.

Se queste erano le regionali del gennaio 2020, nove mesi più tardi le amministrative sono un’altra storia: “Le elezioni comunali e lo spiccato utilitarismo del Barillà e della cosca Araniti – scrive il gip – avevano portato ad un consolidamento dei rapporti tra questi e il consigliere eletto grazie ai voti della cosca, Giuseppe Sera, nonché all’introduzione del Barillà nei disegni politici dei rappresentanti regionali e locali del Pd, tra cui, in particolare, Domenico Battaglia, i quali agognavano costantemente il pacchetto di voti di cui il Barillà poteva disporre su delega del capocosca Domenico Araniti”.

Nell’ordinanza c’è pure la conversazione tra Peppe Sera e Mimmetto Battaglia in cui il 5 novembre 2020 il primo propose Daniel Barillà come liquidatore della Leonia Spa, la società mista che si occupava della raccolta dei rifiuti nel Comune di Reggio Calabria. “Facciamo due operazioni politiche”, è stato il commento di Battaglia: “Gli facciamo il regalo della nascita…(della figlia, ndr)”. Sera capisce al volo: “Lo stacchiamo da Neri”. Il riferimento era al consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri. “Visto l’andazzo, sono 800 voti che da là passano qua perché lo responsabilizziamo a Daniel”.

La nomina alla Leonia non andò a buon fine ma “dall’analisi delle conversazione telefoniche registrate sull’utenza in uso a Barillà – scrive il gip – emergeva che quest’ultimo aveva ricevuto dal Sindaco Falcomatà la nomina quale componente dell’Organo interno di valutazione (OIV) del Comune di Reggio Calabria, risultando di fatto incompatibile anche con il prestigioso incarico di amministratore e liquidatore della Leonia che gli era stato offerto”.

E per la procura non ci sono dubbi che si sia trattato di una “compravendita di voti”. Con soldi pubblici.