di Kevin De Sabbata*
La vittoria schiacciante di Keir Starmer alle elezioni britanniche potrebbe far pensare che la strada del nuovo premier inglese sarà in discesa. Tuttavia, guardando la realtà del paese, probabilmente non sarà così.
In questa tornata elettorale, il Labour ha prevalso non perché abbia proposto un’alternativa politica forte, ma semplicemente per la imbarazzante performance dei conservatori, che in questi anni non hanno proprio governato, o, quando hanno tentato di farlo, con Liz Truss, hanno quasi rischiato di trasformare il Regno Unito nell’Argentina. Così, anche complice la debolezza del partito indipendentista scozzese, i laburisti si sono trovati davanti una vera prateria in cui dilagare. Durante la sua (piuttosto tiepida) campagna per la premiership, Starmer ha accuratamente evitato di fornire proposte chiare e dettagliate sui veri nodi politici del momento; così, sfruttando un’invidiabile posizione da uomo solo al commando della corsa, si è limitato a promettere di combattere l’inflazione, far ripartire l’economia, ridurre le diseguaglianze, investire nella sanità e in altri servizi pubblici ora allo stremo, senza veramente precisare come intenda ottenere tutto ciò e quali saranno le contropartite da accettare per finanziare queste politiche. Ora, però, tutti questi nodi dovranno venire dolorosamente al pettine.
Un aspetto positivo della campagna elettorale appena conclusa è che buona parte dell’elettorato sembra aver finalmente realizzato che le tasse servono e che sono necessarie se vogliamo dei servizi decenti. Parlando con la gente si sente molto meno che in passato lo slogan ‘meno tasse’ e di più il mantra ‘basta che gli ospedali funzionino’. Tuttavia, in un momento in cui il costo della vita è ancora alle stelle, alzare drammaticamente la pressione fiscale per reperire le ingenti risorse necessarie a far ripartire la sanità, la scuola, l’università e il trasporto pubblico sembra comunque un’opzione ardua. I membri del futuro governo continuano a ripetere che il tutto verrà finanziato tassando i miliardari e debellando l’elusione tramite paradisi fiscali, ma è una di quelle promesse che tutti i partiti fanno e che raramente viene realizzata.
Un altro problema è che sembra difficile affrontare la questione dell’inflazione (ancora più alta che nel resto d’Europa) e del declino economico della nazione senza un almeno parziale ripensamento della Brexit. Anche questo, però, è un tema ancora decisamente tabù. Infine, un’ulteriore patata bollente è quella dell’immigrazione, che una grossa fetta dell’elettorato vuole drasticamente ridotta, anche a costo di misure moralmente discutibili, nonostante essa sia essenziale per cruciali settori dell’economia (ad esempio l’ospitalità e la ricerca) e dei servizi pubblici (ad esempio il sistema sanitario nazionale). In questo contesto, un partito di sinistra si trova ancora più in difficoltà di uno di centro destra. Infatti, da un lato non può certo sostenere proposte imbarazzanti come quella di deportare i migranti in Rwanda, avanzata dal precedente governo, ma dall’altro deve comunque trovare un modo di mostrare il muso duro.
In realtà, al fondo, la Gran Bretagna rimane, culturalmente e socialmente, quella che ha votato per la Brexit e ha acclamato la cultura politica fallimentare all’origine dei suoi problemi attuali. Questo è evidente anche dal fatto che, nonostante la valanga di seggi (distribuiti secondo un sistema maggioritario puro), in termini di percentuali di voto i laburisti si sono fermati al 35%, mentre il 24% dei cittadini ha comunque votato conservatore e un rivelatore 15% ha scelto il partito xenofobo e populista di destra Reform Uk. In generale, l’elettorato non sembra ancora completamente disposto ad accettare una serie di verità indigeste che prima o poi dovrà ingoiare.
Inoltre, la società britannica sembra ancora intrappolata in alcune vecchie e radicate dinamiche che rischiano ora di decretarne la definitiva decadenza: una capitale che fagocita molta parte delle risorse lasciando al resto del paese solo gli avanzi, una mentalità classista e sempre più individualista che rende più difficile promuovere l’istruzione d’eccellenza e l’accesso alle pari opportunità e al Welfare come beni gratuiti per tutti, il continuare a credersi un potenza mondiale nonostante l’Impero sia finito da un pezzo.
Sono tutti problemi che Sir Keir Starmer non sembra, al momento, in grado di affrontare in maniera decisa e che rischiano di trasformare quella che ora sembra una placida luna di miele in un matrimonio burrascoso.