di Leonardo Botta
Una vecchia usanza di alcuni genitori era quella di accostare la mano dei propri pargoli alla fiamma dell’accendino, per fare in modo che, scottandosi, imparassero a starne alla larga. A questo pensavo mentre riflettevo sul turno di ballottaggio di domenica prossima in Francia, che potrebbe consegnare per la prima volta la maggioranza parlamentare all’ultradestra di Le Pen e il governo al suo delfino Bardella.
Le contromosse del resto dello scacchiere politico le abbiamo viste: la sinistra del neo-costituito Nouveau Front Populaire ha serrato i ranghi e si è organizzata: complice la legge elettorale a doppio turno, sono partiti i pur complicati patti di desistenza con Ensemble, il partito dell’azzoppato (volendo usare un eufemismo) presidente Macron. Concretamente, in molti collegi chi era terzo si è ritirato dalla competizione, che ora si mostra sicuramente aperta: addirittura i sondaggi danno il Rassemblement National lontano dalla maggioranza; forse, dico forse, neanche questa volta Marine Le Pen vincerà.
Ma mi chiedo se ciò giovi alla malconcia democrazia transalpina. Mi chiedo se ciò andasse assolutamente fatto, per evitare alla destra xenofoba di andare alla guida del paese nostro vicino d’oltralpe, o se una volta per tutte non sia il caso che i francesi mettano la mano sul fuoco (un po’ come era successo agli inglesi a trazione conservatrice con la Brexit: infatti il partito laburista britannico sta tornando perentoriamente al governo dopo i disastri isolazionisti compiuti dai Tories, anche se per ora il suo leader Starmer esclude un rientro nell’Ue) e sperimentino questa esperienza di governo ultra-conservatore.
A proposito di analogie con altri paesi, mi viene in mente l’Italia del 2006, quella in cui, per battere Berlusconi, Romano Prodi organizzò quella a dir poco variegata alleanza politica nata sotto il nome de “L’Unione” che metteva insieme un centrista come Mastella con i comunisti Bertinotti e Diliberto, passando per democratici di sinistra, verdi, socialisti, liberali, radicali e financo qualche leghista transfugo dal partito di Bossi e gli autonomisti del Südtiroler Volkspartei. I risultati li ricordiamo: bastarono due anni per riconsegnare le chiavi del nostro paese al Cavaliere, con una delle maggioranze più “bulgare” della nostra storia repubblicana.
Per carità: non è detto che Le Pen, se andasse al governo, non faccia esattamente come la nostra presidente Meloni che, dal “fuori l’Italia dall’Europa” e dall’affondamento dei barconi evocati quand’era Giorgia, italiana, donna e madre fieramente all’opposizione, si è rivelata inaspettatamente (in fondo, buon per noi) europeista e in alcuni casi più moderata di un dirigente democristiano della Prima repubblica.
Insomma, non ci vuole la zingara per indovinare che, se domenica il “tutti contro una” dovesse risultate ancora una volta vincente, probabilmente la Francia (se non dovesse uscire da questa crisi di sistema che l’attanaglia, in buona compagnia con altri paesi) continuerà ad essere pervasa da questa lenta, ma inesorabile marea nera che prima o poi la sommergerà. E temo sarà peggio.