Il riformista moderato Masoud Pezeshkian ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali iraniane, battendo a sorpresa l’ultra-conservatore Saeed Jalili. Il cardiochirurgo 69enne, ex ministro della Sanità e parlamentare dal 2008, ha ottenuto 16,3 milioni di voti, il 53,7%, contro i 13,5 milioni (44,3%) del rivale, professore di scienze politiche e già capo negoziatore dell’Iran sul nucleare. Nel complesso, alle consultazioni si sono recati alle urne circa trenta milioni di persone, intorno al 50% dei 61 milioni di aventi diritto, mentre il primo turno – tenuto il 28 giugno dopo la morte improvvisa in un incidente aereo del presidente Ebrahim Raisi il 19 maggio – aveva fatto segnare un’affluenza al 39,9%, la più bassa nella storia del Paese dai tempi della Rivoluzione islamica del 1979. Proprio l’aumento della partecipazione al voto ha fatto guadagnare la vittoria a Pezeshkian, che partiva svantaggiato – nonostante il vantaggio del primo turno – per il probabile spostamento su Jalili dei voti degli altri due candidati conservatori, Mohammad Qalibaf e Moustafa Pourmohammadi.

I sostenitori del candidato riformista sono scesi a festeggiare nelle strade di Teheran e di altre città prima dell’alba. In campagna elettorale, il neo-presidente aveva promesso un’apertura all’Occidente e un allentamento della legge sul velo obbligatorio, venendo incontro alle proteste degli ultimi anni. Ma aveva anche assicurato il mantenimento della teocrazia sciita iraniana e il riconoscimento dell’autorità suprema del leader religioso, l’ayatollah Ali Khamenei. “Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti gente di questo Paese, c’è bisogno di tutti per il progresso di questo Paese”, sono state le prime parole del vincitore alla tv di Stato dopo la vittoria. A Pezeshkian sono arrivate le congratulazioni del presidente russo Vladimir Putin, che ha espresso la speranza di “rafforzare la cooperazione” con l’Iran – alleato strategico di Mosca in Medio Oriente – su tutti i piani, compreso quello della sicurezza regionale.

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