“Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti parte di questo Paese e dovremmo servirci di tutti per realizzare il progresso della Nazione”. Con quasi il 54% dei voti ottenuti al ballottaggio contro Saeed Jalili, è Masoud Pezeshkian il nuovo presidente dell’Iran. Il 70enne candidato centrista, dalle tendenze riformiste, ha mandato subito un messaggio ecumenico a margine della sua elezione, nella quale ha battuto il suo rivale al secondo turno della 14esima tornata elettorale presidenziale della storia della Repubblica islamica che ha visto un’affluenza al voto del 50%. Una partecipazione quindi superiore del 10% rispetto al minimo storico registrato al primo turno, ma sempre inferiore del 9% rispetto all’ultimo ballottaggio di 19 anni fa, che vide la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad contro Ali Akbar Hashemi Rafsanjani.

La vittoria di Pezeshkian ha in parte sorpreso gli osservatori: un suo successo era considerato più probabile al primo turno, alla condizione di un’affluenza al voto superiore al 60% che non si è lontanamente verificata. Le sue prospettive al ballottaggio erano quindi a loro volta ancor più legate alla partecipazione dell’ampio segmento di disillusi, se si considera che i voti ottenuti al primo turno dagli altri due candidati conservatori – Moustafa Pourmohammadi e Mohammad Ghalibaf – sarebbero confluiti su Jalili.

Un ruolo importante sembra averlo giocato una tendenza controintuitiva: se infatti Pezeshkian aveva nelle scorse settimane ottenuto gli endorsement di diverse figure del campo riformista, come l’ex presidente Mohammad Khatami e l’ex ministro degli Esteri Javad Zarif – ma non, ad esempio, quello del leader riformista del “Movimento verde”, Mir Hossein Mousavi, agli arresti domiciliari dal 2011 insieme alla moglie Zahra Rahvanard -, negli ultimi giorni sono state diverse le figure del campo conservatore ad averlo appoggiato, forse “intimorite” dal massimalismo di Jalili, da molti considerato troppo estremista, soprattutto nel suo posizionamento internazionale. “Jalili potrebbe esacerbare i problemi domestici ed impedire la risoluzione di alcuni dossier con gli Stati Uniti“, aveva commentato qualche giorno fa su Al Jazeera Vali Nasr, della John Hopkins University.

Un primo esplicito sostegno per Pezeshkian nel campo conservatore era venuto proprio dal capo della campagna elettorale di Ghalibaf, Sami Nazari Tarkarani, dopo che l’ex sindaco di Teheran si era piazzato terzo al primo turno della contesa. Ancor più significativo l’appoggio da parte di Sardar Rashid, comandante di alto grado dei Guardiani della Rivoluzione. Va infatti notato come Pezeshkian venga percepito in questi circoli come un riformista “moderato” che ha cercato appunto l’appoggio dei conservatori tecnocrati, di orientamento più pragmatico rispetto ai principalisti più “puri”, come Jalili.

L’elezione di Pezeshkian probabilmente non porterà, come da lui stesso annunciato in campagna elettorale, alcun cambiamento radicale ma la sua vittoria è importante non tanto per ciò che potrà realizzare da presidente, bensì per ciò che si è evitato con l’eventuale elezione di Jalili, che sarebbe stato di gran lunga il più oltranzista dei presidenti della Repubblica islamica. Una eventualità che avrebbe dato luogo a un quadriennio potenzialmente esplosivo, considerando le sostanziose probabilità di vittoria di Donald Trump alle elezioni americane del prossimo novembre.

Se, come noto, la politica estera e di sicurezza regionale è principalmente nelle mani della Guida Suprema, Ali Khamanei, del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale (il cui segretario attuale è proprio Saeed Jalili, ma che è guidato dal presidente stesso) e degli alti quadri dell’IRGC, l’elezione di Jalili avrebbe cementificato il forte antagonismo della postura internazionale dell’Iran: l’elezione di Pezeshkian, invece, potrebbe avere la funzione di smorzare tutto ciò, riaprendo in teoria degli spiragli anche per una futura intesa sul nucleare (in caso di vittoria dei democratici in Usa), come accaduto durante la presidenza Rouhani. Hamid Reza Gholamzadeh, direttore del think thank DiploHouse, ha invece sostenuto che il presidente ha tuttora le facoltà di influenzare molto anche la stessa politica estera, soprattutto nella misura in cui ha il potere di porre all’ordine del giorno delle priorità, come fece ad esempio Hassan Rouhani.

Ciò sempre senza dimenticare che Pezeshkian, al netto della volontà di “dialogare con tutti”, ha più volte assunto un atteggiamento vagamente “democristiano” sui dossier internazionali, evitando le dichiarazioni infiammatorie ma dichiarandosi sempre sulla “stessa linea” della Guida Suprema (che tuttavia ha una posizione nei fatti meno oltranzista rispetto alle IRGC).

Dal punto di vista interno, invece, gli spazi di manovra del cardiochirurgo di origine azera – che si era espresso duramente contro le repressioni delle proteste nel 2022, nonché sulla “impossibilità scientifica di imporre la religione ai cittadini” – saranno più ampi, come aveva ricordato in sede di campagna elettorale Gholamhossein Mohseni Ejei, capo del potere giudiziario. Va sempre ricordato che il presidente, oltre a indirizzare la politica economica, è a capo del Consiglio Supremo del Cyberspazio – che influenza ad esempio i livelli di censura telematica e la libertà di navigazione su internet – e anche del Consiglio della Rivoluzione culturale, organo dedicato a questioni sociali, incluse ovviamente la questione dell’obbligo del velo.

Al di là delle speculazioni, è bene ricordare che la strada verso eventuali riforme è molto in salita. Non solo per via del riformismo “moderato” di Pezeshkian ma soprattutto per un banale disequilibrio parlamentare: i principalisti hanno al momento una solida maggioranza nel Majles, con 162 seggi su 290. L’opposizione, oltre a esser minoritaria, è anche abbastanza frammentata ma molto si capirà nelle prossime settimane, nel caso di una continuazione del trend che ha visto appunto diverse figure del campo principalista preferire Pezeshkian a Jalili. Khamenei ha intanto commentato i risultati con un invito alla continuità, consigliando a Pezeshkian di “proseguire il cammino di Raisi”, anche se l’affermazione può prestarsi a interpretazioni differenti.

Su X, Pezeshkian si è nuovamente rivolto ai suoi elettori e al popolo iraniano, esemplificando la delicatezza del suo compito, soprattutto in una tesissima congiuntura internazionale che fa da sfondo a una persistente crisi economica: “Mio caro popolo iraniano, le elezioni sono finite e questo non è che l’inizio del nostro lavoro. Il sentiero difficoltoso che abbiamo di fronte non verrà imboccato senza il sostegno di tutti voi, senza la vostra fiducia e la vostra empatia. Tendo la mia mano verso di voi e giuro sulla mia dignità che non vi lascerò soli. E voi, non lasciate solo me“.

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