Musica

Musica per l’estate 2024: tre dischi diversissimi per tre diversissime esperienze d’ascolto

È nel mare magnum sonoro offerto dalle onnipotenti piattaforme musicali che per l’estate del 2024 desidero tanto segnalare alcuni album che credo possano ristorare l’ascoltatore curioso.

Parliamo di jazz, o perlomeno di quello che si è ancora soliti definire jazz, e dei suoi molti, moltissimi dintorni cominciando dall’album di un cantante che ha segnato decadi della scena musicale e televisiva italiana, Gegè Telesforo: è già dal mese di marzo che è in circolazione il suo nuovo album Big Mama Legacy, un disco che, pubblicato dalla prestigiosissima Ropeadope, tiene insieme una serie di strepitose e giovanissime promesse della scena musicale italiana, tutti musicisti di cui ho già detto su queste stesse pagine, in un meraviglioso flusso di idee e creatività.

Come Davis e diversi altri prima di lui, fa benissimo Telesforo, che di talento e intuizioni è sempre stato particolarmente prodigo, a farsi supportare, arricchire e accompagnare da un tal gruppo di bellissime speranze per il futuro musicale italiano: ne viene fuori un felicissimo ibrido tra forma-canzone, orizzonti africani, virtuosismi da jazz club e tentazioni vagamente crepuscolari. Telesforo, da saggio padre nobile, tiene le fila di questo variegato insieme di cose, influenze e persone lasciando spazio a tutti e sapendo al tempo stesso, ove necessario, rendersi quasi impercettibile. Tonificante, rinvigorente.

A un jazz più caustico è votato invece il nuovo album, emblematicamente intitolato Melodico, del trombettista Andrea Sabatino, che in duo con Vince Abbracciante alla fisarmonica ripercorre con una serie di preziosi arrangiamenti una serie di classici della più nobile traduzione italiana, pezzi partoriti dalle penne e dal genio di autori, tra gli altri, come Nino Rota, Luigi Tenco e Gorni Kramer. È così che i due musicisti si confrontano, per esempio, con le furenti melodie di Brava, pezzo di bravura che il Maestro Bruno Canfora scrisse nei meandri di Studio Uno per le incredibile doti di Mina: quando la televisione partoriva genio, bellezza e solo pochi, pochissimi vi si potevano avvicinare.

E quanta poesia in questa toccante, struggente versione de La strada, il tema che Nino Rota scrisse per una delle più importanti pellicole dell’intera storia cinematografica italiana: dalle ariose, romantiche e melodrammatiche note di Rota si passa, dopo una straordinaria preparazione solista della tromba di Sabatino, quasi un miracolo per il cuore di ascolta, a un clima più raccolto, meditato, mediterraneo. Tradotto cinematograficamente: da Fellini a Tornatore, ed è in questi ascolti che si può intuire quanto lo stesso Morricone abbia potuto apprendere dalla penna di un gigante come Nino Rota. Un progetto coraggioso, appassionato, da ascoltare in momenti che pretendono solo bellezza, consapevolezza, verità.

Al pianista Donatello D’Attoma e al suo ultimo album, Deep down, l’onore e l’onere invece di portarci in luoghi ben più criptici e oscuri dell’umano jazzare, perché la sua è infatti una ricerca che si inerpica tra un puntillismo post moderno, suggestioni in stile free jazz, incastonato rumorismo, affilate prospettive mediorientali e oscuri presagi: un’enorme quantità di stimoli e materiali vari che trovano poi rifugio, riparo e risoluzione in momenti di agrodolce lirismo, mai troppo aperto, sempre contenuto, controllato, quasi timoroso di poter troppo apparire, di attirarsi indesiderate attenzioni. Qui è il cervello a farla da padrone, laddove il sentimento, che pur c’è, sotterraneamente cerca vie nascoste, impercettibili, indecifrabili. A essere presenti e a sposare questo meraviglioso progetto di D’Attoma vi sono Fulvio Sigurtà alla tromba, Giulio Scianatico al contrabbasso e Attila Gyarfas alla batteria.

Tre dischi fra loro diversissimi per tre diversissime esperienze d’ascolto: certamente da portare ovunque con sé, come fossero potentissimi amuleti contro i mali discografici del nostro tempo.