In questi giorni, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato il nuovo “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, Pniec, dando molta importanza al ritorno al nucleare. Addirittura, ha detto che potremmo arrivare al 10-11% di produzione di energia elettrica nucleare entro il 2030. Evidentemente, il ministro parla a ruota libera tirando fuori dei numeri impossibili. Ma, a parte questo, da dove arriva l’idea di ritornare al nucleare?

La discussione sul nucleare nel Pniec fa riferimento quasi esclusivamente a un rapporto della Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile (Pnns). Di questo rapporto, però, al momento non c’è nessun documento pubblico disponibile, a parte cinque pagine che illustrano cosa la piattaforma farà, prima o poi. Da quello che si può leggere nel Pniec pare di capire che i dati riportati siano stati preparati da un “gruppo di lavoro” non meglio identificato che ha utilizzato il modello Times del Rse (Ricerca Sistemi Energetici).

I modelli del Rse sono cose serie, fatti da professionisti (trovate dettagli sul modello Times a questo link). Però c’è un problema generale con tutti i modelli. In inglese si dice “garbage in, garbage out”. Ovvero, se i parametri in ingresso sono spazzatura, i risultati saranno spazzatura anche quelli. Allora, cosa possiamo dire della conclusione del Pniec per cui il nucleare ci farebbe risparmiare “17 miliardi di euro” da qui al 2050? Qual è l’incertezza su questo numero? Quali parametri sono stati utilizzati? Con quali criteri sono stati valutati i costi? Non ci viene detto niente in proposito. Non dico che questo risultato sia necessariamente spazzatura, ma prima di approvare un piano nazionale che si lancia in queste affermazioni sarebbe stato decisamente il caso di avere qualcosa di più in mano.

Ci sarebbero moltissime altre critiche da fare su come il Pniec affronta la questione nucleare. Tanto per dare un’idea, notate che in tutto il documento non appare mai la parola “uranio”. Una mancanza non proprio marginale, perché se si parla di “piccoli reattori modulari”, ci si dovrebbe ricordare che funzionano a uranio arricchito a livelli più alti di quelli tradizionali. Il piano non si preoccupa neanche vagamente della questione di chi ci lo dovrebbe fornire, considerando che non abbiamo impianti in grado di produrlo in Italia e che il maggior fornitore globale di uranio arricchito è la Russia. In parole povere, questo vuol dire “fare i conti senza l’oste”.

Tuttavia, non è che l’idea di utilizzare l’energia nucleare sia da scartare a priori e il problema di arrivare a una condizione di “net zero” entro il 2050 non è di facile soluzione. Su questo argomento, potete dare un’occhiata a un recente studio prodotto da un gruppo di ricercatori indipendenti (“Scetur”) che è molto serio e non lascia spazio a voli di fantasia. Questo e molti altri studi ci dicono che le soluzioni ci sono, ma anche che, nucleare o no, tutte coinvolgono un certo grado di “gestione della domanda”, ovvero riduzione dei consumi mediante efficienza e razionalizzazione, perlomeno durante la fase di transizione. Cosa perfettamente possibile senza fare danni a nessuno se ci lavoriamo sopra seriamente. Ma affidarsi ai miracoli, come il nucleare, non è mai una buona strategia.

Di fronte alle critiche, il governo metterà le mani avanti dicendo “questa è solo un’esplorazione”. Sì, certo, ma ricordiamoci che il governo è un’entità politica. Inserire il nucleare nel Pniec, come pure creare una “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”, è stata una decisione politica che ha uno scopo politico. Chiaramente, lo scopo è distogliere l’attenzione del pubblico dal tentativo in corso di rallentare la penetrazione delle rinnovabili per fare un favore all’industria petrolifera. È una cosa perfettamente ovvia; sta a noi non cascarci.

Su questo argomento, potete anche dare un’occhiata a un documento degli scienziati dell’associazione “Energia per l’Italia” che fa notare come un ritorno al nucleare porrebbe problemi quasi impossibili da risolvere.

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