Sei elezioni in tre anni con il settimo voto ritenuto sempre più probabile, una serie di governi instabili che non riescono a rimanere al potere se non per pochi mesi, profonde fratture che dividono i partiti e rendono impossibile il dialogo. Questa è la condizione in cui si trova la Bulgaria, nazione più povera dell’Unione europea, prostrata da oltre tre anni di una crisi politica che sembra irrisolvibile. L’ultimo episodio è andato in scena giovedì scorso quando il Parlamento ha negato la fiducia all’esecutivo proposto dal partito di centrodestra GERB, guidato dal controverso ex premier Boyko Borissov e vincitore alle elezioni di giugno.
Una vittoria relativa perché GERB aveva ottenuto appena il 24,7% dei consensi e 68 seggi sui 240 del Parlamento, numeri lontani dalla maggioranza assoluta e resi ancora più deboli da un sistema elettorale di tipo proporzionale. Il presidente Rumen Radaev, esponente del Partito Socialista, dovrebbe ora offrire una possibilità al Movimento per i Diritti e le Libertà, formazione liberale che rappresenta la minoranza turcofona, giunta al secondo posto con 47 seggi. Secondo gli analisti, però, anche questo tentativo è destinato a fallire e nuove elezioni sono dietro l’angolo.
Il dialogo tra i partiti è reso difficile dalle differenze ideologiche ma anche dalla sfiducia reciproca. L’ultimo governo, al potere tra il 2023 ed il 2024 e formato da GERB e dagli europeisti di Bulgaria Democratica-Continuiamo il Cambiamento (PP-DB), è collassato per dissidi interni relativi alle nomine da effettuare dopo la staffetta prevista per il ruolo di primo ministro. Il PP-DB, che dispone di 39 seggi, non può governare da solo e non intende farlo con GERB, il cui ingombrante leader Borissov è stato primo ministro tra il 2009 ed il 2021, salvo poi dimettersi in seguito alle massicce proteste anti-corruzione che hanno dato vita alla crisi politica. Le altre formazioni, tra cui ci sono l’estrema destra nazionalista di Revival con 38 seggi, i filo russi del Partito Socialista con 19 scranni e i populisti di C’e un Popolo Così con 17 seggi, non hanno i numeri per governare e nei primi due casi sono ritenute troppo filorusse per farlo.
La crisi politica rischia di avere pesanti ricadute sulle ambizioni della Bulgaria che, tra le altre cose, puntava a entrare nell’Eurozona a partire dal prossimo gennaio. La Commissione europea ha però annunciato che il mancato rispetto di uno dei criteri di ammissione, la stabilità dei prezzi, le impedisce di dare luce verde a Sofia e la scadenza è destinata a slittare. A questo si aggiunge l’alto tasso di inflazione e la debolezza del supporto popolare nei confronti dell’euro.
Un sondaggio realizzato da Eurobarometro nel 2023 ha evidenziato come i cittadini bulgari siano meno favorevoli ad adottare l’euro rispetto ad altre nazioni del continente e più preoccupati di possibili problemi come le variazioni di prezzi. Secondo alcuni, questi dati sarebbero influenzati dalle campagne di disinformazione portate avanti dalla Russia. La Bulgaria è stata considerata, per decenni, una delle nazioni più vicine a Mosca in Europa Orientale e condivide con la Russia una serie di affinità linguistiche, religiose e culturali. La dipendenza energetica dal Cremlino ha aiutato la Federazione a cementare le proprie posizioni e i tentativi di sganciarsi da Mosca in favore di una maggiore autonomia sono stati implementati solamente di recente.
La Bulgaria è uno Stato membro dell’Unione europea ma anche della Nato e ricopre una posizione strategica nella regione balcanica e in quella del Mar Nero. La presenza di forti simpatie filorusse tra una parte della popolazione e della classe politica potrebbero consentire a Mosca, nel prossimo futuro, di riacquistare posizioni nello scenario bulgaro. Ma per farlo è essenziale che l’attuale instabilità prosegua nel medio termine. Uno scenario, quest’ultimo, reso ancora più probabile dalla litigiosità della classe politica bulgara, dalla persistenza di una figura carismatica e divisiva come Borissov e da un sistema elettorale che in una situazione di crisi si è rivelato incapace di garantire stabilità.